Teatro

Speciale NTFI 2014: il signor K. disperso nel sogno americano

Speciale NTFI 2014: il signor K. disperso nel sogno americano

Oltre all'altrettanto indovinata location della Sala dei 500 del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, adeguata per l'ambiente coevo che conferisce naturalezza ed autenticità, l'elegante idea di un'orchestrina dal vivo che fa risuonare sia note Yiddish, sia Scott Joplin e Maple leaf rag, con il pianista che interagisce con gli accadimenti e funge anche da rumorista, è la prima dichiarazione aperta dell'impianto scenico di Amerika di Franz Kafka, nell'adattamento di Malcovati e Maurizio Scaparro, che ne cura anche la regia.

Un impatto promettente, che fa entrare con più leggerezza sul delicato tema che ben presto fa riflettere, ovvero l'irrisolta/irrisolvibile querelle fra la letteratura e la sua rappresentazione sulla scena: la scelta, necessaria ancorché stilisticamente opinabile, è quella di attraversare le scene/episodi quando in fretta, con personaggi appena accennati (come il fuochista che è solo una voce fugace), quando accentando figure come il senatore Jakob, quando porgendo lo scorrimento degli eventi con la narrazione, come l'atto di seduzione della cameriera, o al contrario in soluzione dialogica al posto della descrittività letteraria. Va riconosciuto che a volte i cambi di scena, anche effettuati a mano dagli attori entranti o uscenti, aiutano a costruire un corso agile, ma più spesso le soluzioni hanno il sapore di passaggi bruschi (come quello fra l'episodio di Brunelda e quello del teatro dell'Oklahoma), che ricordano -sia detto con la nobiltà che meritano- i quadri che si succedevano sui carretti dei cantastorie.

Nonostante questa sia, tra le declinazioni della solitudine della trilogia kafkiana (America/Il processo/Il castello), la meno cupa, la meno solcata da nevi perenni in quanto trasposizione futuribile -e persino speranzosa- della poetica della dispersione, tuttavia egualmente Karl Rossmann (nella pur buona prova di Giovanni Anzaldo) appare costantemente un po' più stralunato di quanto ci si attenderebbe, mentre per Ugo Maria Morosi viene efficacemente scelta l'interpretazione di tutte le figure autoritative, a conferire un senso riconoscibile al simbolo kafkiano della somma giustizia/ingiustizia, mentre Carla Ferraro dà vita lieve ad ogni personaggio femminile tranne la cantante Brunelda, riservata a Morosi appunto perché prevale l'angolatura simbolica dell'autorità.

È insomma una visione, questa di Scaparro, che si concilia con l'idea che ebbe Max Brod nel 1927, quando mise in connessione il romanzo, e soprattutto le scene dei sobborghi, al volo ideale di certi film di Chaplin, ed anzi precedendone la concezione, da Tempi Moderni, sul comune point d'appui dell'estraneità e dell'isolamento tra gli uomini (lì la mancata integrazione ed il rifiuto della società, qui l'indifeso ragazzo inesperto nella tumultuosa America, prima dell'accusato nel Processo e dello straniero non invitato nel Castello): uno sguardo che infatti fu ben presto tradotto dal regista nello stile cinematografico, con un film di cui si leggono anche in scena elementi ben visibili, sebbene sembri sempre così difficile guardare il boemo senza scorgere neanche una goccia di nebbia; ma questo forse somiglia proprio al colore primigenio dell'aurora della fantasia di Kafka, il quale non fece mai lunghi viaggi, e non oltrepassò la Francia e l'Italia settentrionale.

Tutto sommato, conservando nelle proprie tracce mnestiche ciascuno la propria preferenza dell'immaginario kafkiano e degli episodi, fra desiderio di libertà, ostinazione per una missione intramondana e coscienza di un'indomita natura giovanile ancora non irrorata con le stille del realismo magico, il riallestimento trasmette il senso della stessa metafora, che viene ben sottolineata sulla scena come nel testo, del regolatore e delle manovelle che mutano l'aspetto della scrivania americana: “[...] e girando una manovella era possibile effettuare a piacere e secondo il bisogno tutti i cambiamenti e gli spostamenti possibili. Sottili paretine divisorie si abbassavano lentamente e costituivano il fondo o il soffitto di tanti nuovi scomparti; già dopo un giro di manovella l'alzata aveva un aspetto del tutto diverso, e a seconda di come si girava la manovella, tutto avveniva in modo lento o incredibilmente rapido.”