Teatro

Speciale NTFI 2014: Mura, armonia di sguardi ed attese

Speciale NTFI 2014: Mura, armonia di sguardi ed attese

E' una storia che viene da lontano, delicata come la memoria quando è accarezzata dal tempo e velata di nostalgia. Ci sono dei mattoni, piccoli rettangoli rossicci tutti uguali, cinquanta per l’esattezza, adagiati uno sopra l’altro ad assemblare un muro. Buio tutt’intorno e silenzio. Eccole, le mani, farsi largo nel nero dominato dalla cortina in pietra e prendersi il loro posto, al di là del baluardo. Pochi cenni, e da quelle dita illuminate di fantasia, le sole visibili di tutto il corpo, ha inizio una narrazione che ha poca voce per raccontarsi, perché sono i gesti, la lingua dell’espressione, e gli oggetti le sue parole.

Scarpe nascoste sotto cappelli fanno capolino dalla sommità della parete, cannocchiali curiosi come occhi scrutano la platea da insenature conquistate. Un messaggio affidato a una bottiglia di vetro nel mare sottostante, bastoni che riposano appoggiandosi al sostegno, ombrelli che si librano poco distanti e scale, ostinate, minuscole scale, che si aprono varchi al di là del confine. Strato dopo strato, la barriera comincia a venir giù con una sottrazione flemmatica, quasi rituale. Manipolati con estrema destrezza, i diversi pezzi vanno via, non prima di aver costruito porte ricavate dalla struttura d’insieme, finestre da cui si calano catini per catturare l’acqua, torri merlate di cavalleresco rimando, fessure ritagliate come bocche che hanno tanto da evocare.

Mura di Riccardo Caporossi è un’armonia di sguardi e di attese, una soggettiva, a più di un trentennio di distanza, di quel “Cottimisti” realizzato insieme con Claudio Remondi, scomparso l’anno scorso, partner storico del sodalizio Rem & Cap. Un frammento, dunque, quello presentato alla settima edizione del Napoli Teatro Festival Italia, uno spettacolo con ispirazioni platoniche che invita a riflettere sul rapporto tra percezione e rappresentazione, con un prologo verbale animato da proiezioni video e una chiusura cantilenante e pedagogica.
Allora, nel 1977, di mattoni veri ce n’erano mille, da sistemare in tempo reale per realizzare un muro imponente. Oggi la manovalanza scenica solitaria di Caporossi ha tutt’altro sapore, parla di possibilità ancora da sondare, di separazioni inutili, di svelamenti attuabili. E di aperture da perseguire sempre, a dispetto di ogni reclusione.