Deo Gratias di Francesco Botti è tratto dal suo racconto L'angelo pubblicato nel collettaneo Boccaccio 2013 edito da Felici editore.
Il testo racconta dell'incontro casuale tra l'archeologo Antonio e Angelo, un giovane del Salento, bellissimo e tarantato (quella condizione tra il fisiologico e lo psichiatrico in cui verserebbero le persone morse dai ragni). Angelo danza come un fauno e Antonio prova un'immediata attrazione erotica per lui.
Lo spettacolo ellittico, allusivo, elegante, intrigante e seducente, è interpretato dallo stesso Botti, che firma anche la regia, e da Leonardo Lambruschini. Entrambi si dimostrano interpreti diseguali, il secondo ha una leggerezza nel movimento che manca al primo, che prevale invece nella recitazione, nella quale Lambruschini manca assai, non scandendo le parole come dovrebbe, finendo per compensare l'uno le mancanze dell'altro.
L'allestimento scenico si sviluppa su due diverse direttive una narrativa che riporta il racconto in prima persona di Antonio (interpretato senza soluzione di continuità da entrambi) e una coreografica che richiama nelle sue pose i quadri di Roberto Dragoni, ispirate ai Prigioni di Michelangelo Buonarroti, alcune riproduzioni dei quali sono poste sulla scena.
Due direttive che non sanno entrare in sinergia diventando nello svolgersi dello spettacolo sempre più strabiche e contraddittorie.
La coreografia, tributo seducente, sinuoso e liberatorio all'omoerotismo, è molto efficace nel restituire gli stati d'animo di Antonio, dall'ossessione compulsiva che lo colpisce dopo i pochi incontri con Angelo (Antonio si immagina che delle mosche lo visitino la notte non lasciandolo dormire, segno esteriore del suo disagio psichico), alla dirompenza dell'attrazione erotica per lui (splendido e impudico, senza essere volgare, il quadro che vede Antonio, le gambe aperte percorse dalle sue stesse mani guidate dal desiderio, legato alla sedia da Angelo) suggellando l'intesa sotterranea tra i due uomini che non necessita di parole (nel quadro, indimenticabile, cosparse le teste e i torsi con la creta, i due performer diventano lo stesso uomo).
Il racconto, invece, vira presto l'attrazione fisica totale di Antonio per Angelo - tanto da avere un orgasmo spontaneo quando se lo vede davanti - verso un portato psichico di sofferenza riportandogli alla memoria un episodio delittuoso che ha commesso nella sua infanzia, del quale Angelo, non si sa come, è a conoscenza. Il racconto si fa sempre più cupo e malato fino al finale, brusco e improvviso, ne quale Antonio mette in gioco ravvisandone i segni di una presenza in entrambi, mentre indica dio come l'unico in grado di salvare e guarire le loro anime diversamente in pena.
Questa malignità condivisa (che indurrà Angelo a commettere un omicidio) individua nella possessione satanica la vera natura del legame tra desiderio omoerotico e tarantismo, tra attrazione erotica tra uomini e delirio, tra bellezza virile e ferina e delitto, tra omoerotismo e malattia mentale.
Una spiegazione che il racconto attesta senza preoccuparsi di chiarire se l'accostamento tra maligno e omoerotismo dipenda dalla natura dei due singoli personaggi oppure dall'omosessualità in sé.
Un equivoco cui lo spettacolo espone un pubblico come quello italiano che non percepisce l'omosessualità come una normale variante del comportamento umano (la definizione è del l'Organizzazione Mondiale della Sanità) ma la giudica ancora come disordine morale (come vuole la religione evocata alla fine del racconto).
Un disordine morale che Deo Gratias rischia di confermare involontariamente come condizione intrinseca dell'omoerotismo rendendo vano il lavoro coreutico di fascinazione e seduzione maschili.
Roma Fringe Festival 2014 - Deo Gratias