Singolo, di e con Daniele Coscarella, per la regia di Pascal La Delfa, è un monologo che si impone per il discorso che il suo interprete e autore intraprende dando vita a un personaggio che rappresenta una delle tante monadi contemproanee di una società di persone sole e singole sovradeterminate da un princpio economico che ci fa tutti e tutte consumatori e clienti piuttosto che individui.
Di origini borghesi, lo testimoniano la giacca e la cravatta con cui si presenta in scena, il personaggio di Coscarella si presenta al contempo come un barbone (col classico carrello pieno di oggetti) e da escluso di una società che lo ha messo ai margini (la perdita del lavoro) ha abbastanza lucidità da permettersi di osservare e commentare, da quel margine, con precisione e sensibilità, comportamenti gesti ed espressioni delle perosne che vede.
Ne nasce un discorso sviluppato su diversi livelli da quello personale a quello sociale e umano, mai banale e ricco di spunti di riflessione, più vicino a un sentire quasi elegiaco che dettato da una urgenza davvero di denuncia ma, lo stesso, interessante.
Purtroppo durante una bella metafora, quando il personaggio elogia la vita libera dei cani che, quando si piacciono, si annusano, si leccano e fanno l'amore, senza le costrizioni in cui siamo imbrigliati noi uomini e donne, arriva, improvvisa quanto inopinata, una battuta che, per spezzare l'iddillio sulla libertà dei cani, chiosa con un finchè non vengono sterilizzati e diventano gay.
Un riferimento, questo all'omosessualità, che ritorna un altro paio di volte, quando il personaggio, andato a trovare la famigia, dichiara al padre di essere gay (mentre dai racconti fatti fino a quel momento sappiamo solo di storie con donne). Non si capisce se questa dichiarazione serva a ferire un padre omofobo oppure sia il segno di una marginalizzazione ulteriore che lo fa anche essere gay. Questa dichiarazione di omosessualità viene reiterata e il perosnaggio, in un'altra occasione, dice al padre di essere diventato gay.
Beninteso nessuna persona diventa gay si può solo smettere di nascondere quel che si è sempre saputo di essere e, detto en passant, non esiste solo l'omosessualità ma anche la bisessualità...
Quello che spiazza non è tanto il portato giudicante su (o contro) l'omosessualità (con quell'accostamento tra omosessualità e castrazione il cui peso discriminatorio lasciamo valutare a chi legge) ma l'ambiguità narrativa di riferimenti così maldestri all'omosessualità che non si capisce se vadano intesi come considerazioni dell'autore o come un sentire della società che l'autore riporta senza prendere però posizione alcuna, cozzando contro quell'orizzonte etico che il testo altrimenti ha cercato di tracciare con una certa determinazione ed efficacia raccontando dell'inciviltà con cui viviamo pubblicamente di tra deiezioni canine non raccolte, parcheggi che ostruiscono i passaggi pedonali e una xenofobia strisciante che ci separa e attanaglia.
Una ambiguità narativa che la buona fede del suo autore, della quale non abbiamo motivo di dubitare, non mitiga ma accentua perchè quando si fa un discorso etico la buon fede non è mai un'attenuante ma, al contrario, un'aggravante.
E un racconto che non rispetta tutti gli orientamenti sessuali non è un racconto con degli sbagli, è un racconto sbagliato.
ROMA FRINGE FESTIVAL 2014 - Singolo