Teatro

SPECIALE RFF 2014: una "gabbia" dalla drammaturgia irrisolta

SPECIALE RFF 2014: una "gabbia" dalla drammaturgia irrisolta

La gabbia di carne desta attenzione non solo per l'allestimento scenico dove la videoproiezione diventa parte integrante della drammaturgia, una volta tanto non un orpello esornativo ma racconto per immagini colori e suoni, ma anche per l'argomento, la ricerca chirurgica della perfezione del corpo femminile La richiesta di perfezione. Una società dell’immagine che ci vuole tutti belli, tutti perfetti fuori e lascia dentro noi le imperfezioni dell’essere come spiega il programma di sala.

Il corpo femminile in scena è quello di Valentina Ghetti che si regala generosamente al monologo che interpreta convinta e convincente, scritto, partendo da alcune sue esperienze, da Luca Gaeta.
La protagonista si presenta al pubblico seduta su un letto, circondata da un ambiente clinico dove primeggiano teli di plastica bianchi sui quali luci (curatissime, nonostante i tempi corti del Fringe) e videoproiezioni (che animano alcune opere pittoriche di Mirco Marcacci) ottengono effetti notevoli di trasformazione di una scena che si colora dell'eco emotiva dei suoi stati d'animo.

Dopo aver recitato brani dal monologo dell'Amleto, la voce alterata dall'elio che respira da un palloncino che tiene in mano, la protagonista, rivolgendosi direttamente al pubblico, racconta di aver voluto modificare le dimensioni del proprio seno per renderlo somigliante a quello dell'amica del cuore. L'operazione però non è andata a buon fine e inizia il calvario, di operazione in operazione, di chirurgo in chirurgo. L'autostima viene minata e il suo corpo mutilato e ferito diventa la metafora di un malessere interiore.

La protagonista agisce su diversi livelli narrativi, lucida fino a sembrare cinica quando si rivolge al pubblico, fragile e spaesata quando rivive l'umiliazione di un corpo tagliato e segnato dalle cicatrici, sensuale e sicura di sé quando racconta le modalità di scelta del primo medico (l'avvenenza e la gioventù).

La non accettazione del proprio corpo non sembra la causa che l'ha indotta a subire l'intervento chirurgico, quanto l'effetto dell'intervento chirurgico non riuscito che le ha restituito un corpo ferito e mutilato nel quale non si riconosce più.
La mutilazione, partita dal seno, si sposta sull'organo genitale, ferito, pieno di croste, segno di un corpo che la protagonista teme nessun uomo voglia più riempire (letterale nel testo) tanto da concupire il pubblico maschile, una luce da set cinematografico che abbaglia la platea, chiedendogli di farla sentire di nuovo sessualmente desiderata.

Piuttosto che vittima della pressione sociale di un modello di femminilità sempre più chirurgica, pensata dai maschi a uso e consumo di altri maschi, compresi i chirurghi che eseguono gli interventi, la protagonista sembra la classica vittima di malasanità  il cui incidente le causa una comprensibile crisi psicologica.

Questa ambivalenza drammaturgica confonde per le contraddizioni che crea nel personaggio vittima di una vanità che il testo non sa decidersi se attribuire al personaggio stesso o alla pressione sociale che lo ha costretto ad agire. 
Ne deriva una aleatorietà del racconto che lascia il pubblico con l'imbarazzante dubbio di non aver capito che cosa gli si voleva raccontare.

 

Roma Fringe Festival 2014  La gabbia di carne