Teatro

SPECIALE TEATRO-FESTIVAL-ITALIA: Ecuba, il Teatro ritrovato

SPECIALE TEATRO-FESTIVAL-ITALIA: Ecuba, il Teatro ritrovato

Nei suggestivi spazi che furono dell'antica chiesa di Donnaregina Vecchia, all’interno di quello che ora è il Museo di Arte Moderna MADRE - finora utilizzato in questo Festival soprattutto come sede della programmazione della discutibile rassegna “Corpus” - arriva finalmente il Teatro, ed era ora. Come negli antichi riti pagani che sono alle origini di quest’arte di cui spesso alcuni suoi esecutori perdono il senso, ecco che l’incontro tra un regista di grande talento ed onestà culturale ed una grande attrice crea la magica empatia tra pubblico ed artista. Il regista è Carlo Cerciello, di cui più volte abbiamo avuto modo di apprezzare il lavoro, sempre teso ad una comunicazione colta e allo stesso tempo altamente spettacolare, mentre l’attrice è Isa Danieli, una delle più intense interpreti del nostro palcoscenico. Entrambi, Danieli e Cerciello, a loro volta incontrano Euripide, il più moderno dei tre tragici greci, colui che più di tutti è riuscito a portare in scena l’interiorità umana, le sue passioni, il limite etico-comportamentale dettato dal libero arbitrio dei suoi eroi. Ed è Ecuba il più calzante esempio di questa sua caratteristica. Infatti l’ultima regina di Troia, protagonista dell’omonima tragedia di cui stiamo appunto parlando, è come Medea artefice di una furiosa vendetta: due innocenti fanciulli sacrificati in nome del dolore di donna e di regina. Ed è proprio il sacrificio delle giovani vite umane, compiuto da Agamennone e Polimestore prima che dalla stessa Ecuba, che viene da Cerciello enfatizzato con una regia che evidenzia, oltre al predominante dolore materno della protagonista, il conseguente sentimento di vendetta, la crudeltà e la superficialità della ragion di stato, la sete di potere e di denaro, a cui i giovani Polidoro e Polissena, nonché i loro relativi doppi (e per questo interpretati dagli stessi attori), figli del traditore Polimestore, vengono immolati ineluttabilmente. Questo sacrificio d'innocenti è evidenziato da un’ambientazione che evoca una macelleria-mattatoio, sul cui candido bianco delle mattonelle le teste degli agnelli, ma anche quelle dei maiali, nonché imponenti quarti di bue, sottolineano a loro volta i vari momenti di sanguinolenta mattanza. Una scenografia opera del premio ETI Roberto Crea che, seppur così fortemente iconografica, non impone la propria presenza; anzi, arriva in alcuni momenti a diventare quasi un campo neutro su cui gli attori si muovono con disinvoltura, a cominciare dalla protagonista che, dopo Filumena e Madre Coraggio, con questa interpretazione completa un’ideale trilogia sulla figura materna, e lo fa in maniera impeccabile, con coerenza interpretativa e variegata nei toni e nell’intensità; si sa, quando si parla di grandi attori, su cui si è scritto di tutto, è facile cadere in un’ovvia ripetitività. Convicente Fortunato Cerlino nel ruolo di Agamennone, la cui interpretazione - ed immaginiamo la regia di Cerciello - sottolinea la virile meschinità, non concedendogli nessuna “pietas”, ma facendolo agire con freddezza ed ironica tracotanza, esclusivamente in nome del proprio prestigio e potere, anche quando accetta di accordare alla sua anziana prigioniera la facoltà di vendicare l’onta ed il dolore subito. Precise e senza sbavature le interpretazioni di Nico Mucci (un Odisseo più luogotenente di Agamennone che scaltro uomo di potere) e Ciro Damiano (commosso ed attempato Taltibio), mentre eccessivamente enfatico appare il Polimestore di Franco Acampora. Magnetica, fortemente incisiva e di conturbante temperamento appare ancora una volta Imma Villa, che con la convincente Autilia Ranieri forma la coppia di corèute a cui si affianca Caterina Pontrandolfo, solista di eccellente vocalità. Ma un discorso a parte lo meritano i giovani Raffaele Ausiello e Daniela Vitale, che donano a Polidoro e Polissena tutto il loro giovane, straordinario, talento. Sono entrambi protagonisti dei momenti più emozionanti e commoventi della tragedia, e, proprio assistendo alle loro incontaminate interpretazioni, ancora una volta va riconosciuta a Cerciello l’ottima capacità di dirigere gli attori. Capacità che diventa genio registico in almeno due momenti fondamentali della rappresentazione: il ritrovamento del cadavere di Polidoro (quadro vivente, dichiaratamente evocativo della michelangiolesca Pietà) e l’impetuoso ingresso in scena delle prigioniere troiane, vere e proprie furie vendicatrici. Naturalmente, ancora una volta, la forte carica emotiva delle scene ideate e realizzate dal regista si avvale del fondamentale apporto di Paolo Coletta, autore di una colonna sonora eccellente, di grande intensità e, soprattutto, a totale servizio della scena, senza prevaricare la recitazione e la regia stessa. Terminiamo con una considerazione, che vale anche come bilancio semi-conclusivo di questa lunga programmazione festivaliera: è importante, a nostro avviso, trattare il teatro ed il pubblico con rispetto, e Cerciello è sicuramente tra i pochi registi-autori a farlo: un intellettuale che non cade nella trappola dell’intellettualismo. Forse a molti critici questo modo “accogliente” di fare teatro non piace, non titilla la vanità di essere i traduttori di codici criptici troppo spesso sterili se non fittizi, ma a chi ama davvero il teatro tutto ciò non interessa, ed applaude un regista, degli attori ed uno spettacolo tra i migliori visti in questo Festival. Chiesa Donnaregina Vecchia - Napoli, 24 giugno 2009