«Tutto il mondo è un ospedale e tutti gli uomini e le donne sono pazienti. Electra non fa eccezione. Privata di tutti i rapporti familiari, vive in solitudine, completamente muta, in un ospedale. Tutto quello che vuole è la vendetta nei confronti di chi l’ha ridotta in questo stato, ossia la madre che l’ha abbandonata».
Il mondo è dunque un immenso manicomio in cui la follia e l’atrocità, al di là del tempo e dello spazio, sono i caratteri dominanti di tutti gli esseri umani. Su queste basi Tadashi Suzuki, genio del teatro mondiale, edifica la rappresentazione di Waiting for Orestes: Electra, liberamente tratto dall’Elettra di Hugo Von Hofmannsthal, immaginando un universo in cui la sofferenza, intesa come condizione dell’anima, può essere messa in discussione solo dal dubbio, motore originario della ricerca e della verità. In questo modo Elettra diventa il paradigma universale del paziente, malato per l’assenza di una interiorità e che patisce, come lo stesso Suzuki riporta, «le agonie dello svuotamento spirituale».
Ciò che maggiormente impressiona della regia di Suzuki è la capacità di rileggere il tema di un testo antico e fondamentale per l’occidente attraverso le categorie analitiche della cultura orientale. Si percepisce un forte processo ideativo di rielaborazione della letteratura contemporanea che, sfruttando le riflessioni filosofiche sul potere e sui mezzi attraverso cui questo si attua (Foucault e Deleuze), sul dubbio metodico (Cartesio) e sulla concezione del divino (Nietzsche), trova nel teatro – e nel superamento della metodologia di Kantor, Grotowski, Nekrosius e Wilson – un apprezzabile punto di equilibrio. In questa magmatica densità di pensiero la rappresentazione drammaturgica di Suzuki agisce per sottrazione, riorganizza lo spazio scenico, definisce minuziosamente il movimento, le parole e i gesti, generando un ritmo progressivamente incalzante, impetuoso e lento come un onda del mare che viene da lontano. Ne deriva così un corpus scenico granitico e uniforme, esaltato dalla disciplina individuale dei singoli corpi ed eccitato dal sincronismo perfetto dell’armoniosa meccanica del coro.
Superba la prova di tutti gli attori, che spaziano in una dimensione di raffinate sonorità (composte e suonate in scena da Midori Takada) avvolti da eleganti costumi e da un finissimo disegno delle luci. Al teatro Mercadante di Napoli un denso gruppo di fortunati spettatori ha assistito ad uno spettacolo imponente, capace di relegare l’intensa sperimentazione all’ambito del metodo ed innalzare il genio creativo a sapiente riflessione sul contemporaneo universale.
Teatro Mercadante – Napoli, 19 giugno 2009
Teatro