C’è una scena di “Piece Noire”, lo spettacolo che ha aperto la seconda edizione del Napoli Teatro Festival Italia, che potrebbe sintetizzare malevolmente il risultato di questa rappresentazione. È il momento in cui la “Signora” , interpretata da Lucia Poli, si trova di fronte Desiderio, Valentina Capone, il suo alter ego costruito minuziosamente da lei stessa a propria giovanile immagine e somiglianza, in un disperato tentativo di eternità. Di fronte al cattivo uso che, a suo giudizio, Desiderio fa delle doti che ella le ha donato, la Signora incolpa il giovane transessuale di aver tradito le sue aspettative, le sue intenzioni, e di aver “rovinato tutto”.
Per un istante il sottoscritto ha immaginato, al posto dei due personaggi, entrambi di verde vestiti, due Enzo Moscato, ovvero l’autore che nel 1985 vinse con questo testo il Premio Riccione, ed il regista cha ha allestito questo spettacolo slabbrato e pretenzioso: il primo, probabilmente, poco avrebbe accettato il lavoro del secondo, che nulla ha aggiunto, anzi, ad un copione rimasto nel cuore di chi oltre vent’anni fa scopriva la poetica del drammaturgo.
Va detto che, naturalmente, non poteva, il Moscato del 2009, mettere in scena filologicamente quanto da lui stesso scritto allora, così differente, per stile e linguaggio, da quanto produce ora la propria creatività, e forse per questo il lavoro sarebbe stato più facilmente eseguito, e con risultati più soddisfacenti, da registi che avrebbero osato, senza tradire, una messa in scena contemporanea. Il risultato, invece, appare ibrido e noioso, nonostante la buona prova di gran parte del cast, su cui svettano le notevoli individualità di Gino Curcione, Lalla Esposito e Gea Martire. Di buon impatto, inoltre, la Sisina di Cristina Donadio e le prove di Tonino Taiuti e, soprattutto in vesti muliebri, di Agostino Chiummariello.
Tenera l’apparizione, in un cosiddetto “cameo”, di Maria Luisa Santella, la quale, se non altro, riesce a catalizzare, per il breve perdurare della sua presenza in scena, l’attenzione sonnolenta del pubblico. In quanto a Lucia Poli, oltre alla notevole classe e l’indiscussa bravura, si nota l’inconfutabile diversità espressiva rispetto al regista ed ai suoi colleghi. Ulteriore nota negativa il confuso uso della musica di scena, costituita in gran parte da canzoni del repertorio iconico omosessuale (Patty Pravo, Giuni Russo, etc.) a cui mal si sovrappone il parlato degli attori, risultando un maldestro e poco coinvolgente pastiche. Il pubblico, per lo più addetti ai lavori, ha tributato i suoi doverosi applausi di ordinanza, mentre velocemente ha guadagnato l’uscita.