Teatro

Straordinario Otello al Carlo Felice

Straordinario Otello al Carlo Felice

A Genova un nuovo corso ricomincia da Otello. Non eravamo più abituati a un Carlo Felice così affollato e vitale, capace di produrre musica e cultura nel segno dell’eccellenza: la produzione di Otello andata ora in scena a Genova a conclusione dell’anno verdiano ha spazzato via la tristezza degli ultimi tempi, rivelandosi ottima in senso assoluto, un Otello a cui guardare in futuro che conferma le potenzialità del teatro genovese e la sua reale possibilità di rilancio.

Lo spettacolo, presentato con successo a Valencia l’estate scorsa, è stato completamente ideato da Davide Livermore, regista di cui a Genova è ancora vivo il ricordo per il memorabile Don Giovanni del 2005, e che ora, oltre alla regia, firma luci, video, scene e costumi in collaborazione con Giò Forma e Marianna Fracasso.
Livermore adotta  una scena fissa, una pedana elicoidale, minimale e vuota, per mettere in rilievo i personaggi e le loro dinamiche. All’interno della pedana si trova una piattaforma che si alza e si abbassa mediante tiranti di acciaio: è il cuore drammatico, un ring, dove i personaggi si confrontano, si scrutano,si amano, muoiono. La pedana è orlata di gradinate e corridoi funzionali al movimento del coro a cui la spirale imprime un moto ondivago ed è sormontata da un anello circolare che dà un tocco planetario allo spazio e contribuisce a racchiudere lo spazio del dramma. Cerchio e spirale alludono a una progressione senza scampo del sospetto e della gelosia che inevitabilmente conduce alla tragedia. Sul fondo proiezioni in bianco e nero dal taglio allungato evocano marine e vascelli fra i flutti e, durante la tempesta, anche la parte centrale della scena è animata dai video con una suggestiva compenetrazione fra i movimenti fluttuanti delle masse e delle proiezioni. Dominano il nero e il grigio con tocchi di rosso e le luci giocano un ruolo fondamentale: determinano il taglio delle inquadrature ed evidenziano i contrasti drammatici scolpendo le situazioni. Il risultato è un allestimento che, se pur non si possa definire completamente tradizionale, è più che non mai al servizio di testo e musica.

Durante il “Credo” le spirali concentriche s’illuminano di rosse luci al neon e Jago è spesso accompagnato da rosse proiezioni rettangolari che si assottigliano in una linea fino a sparire (citazione minimalista di wilsoniana memoria) per dare spazio al nero. Jago è  qui deus ex machina assoluto, sembra che Otello e le sue azioni esistano solo in funzione sua: esemplare il terzo atto quando Jago sulla sommità della scena sovrasta Otello e ne “doppia” movenze e parole, come se lo scoppio di  disillusione di “Dio mi potevi scagliare tutti i mali” non sia altro che una sua emanazione e volontà.
Ci sono momenti di rarefatta poesia nel canto notturno di Otello e Desdemona, sdraiati sulla piattaforma-letto  in una notte di pleiadi video, e soprattutto nel quarto atto quando Desdemona canta supina l’Ave Maria e tende mani e gambe al cielo in uno spasimo di ascensione per poi rannicchiarsi in posizione fetale sul nudo pavimento di specchio, mentre dal fondo della scena arriva Otello preannunciato da una proiezione che si dilata livida.
Uno spettacolo riuscito che rende giustizia al genio di Verdi e perdoniamo a Livermore qualche piccola caduta nelle creste punk del coro e nelle mosse swing durante il brindisi.

Strepitosi i tre protagonisti sotto ogni punto di vista. Gregory Kunde, sta vivendo con ottimi risultati una seconda giovinezza in un repertorio decisamente diverso dai ruoli rossiniani e belcantisti che lo hanno reso famoso. La voce di timbro chiaro è lontana da quello che si potrebbe associare alla figura del “barbarico” Moro e, se pur dichiarato indisposto, si è rivelato un eccellente Otello, possente e brillante, a partire dal temibile “Esultate”. Ammirevoli le doti di fraseggio nel confronto/scontro con Jago, che inizialmente riesce a contrastare con  sarcasmo salvo poi farsi progressivamente annientare. Un Otello nobile e fiero, sempre più debole, allucinato e solo.
Maria Agresta è una delle cantanti più interessanti del panorama italiano e sta facendo una  carriera folgorante. La voce non ha delle caratteristiche timbriche particolari, ma se ne apprezza l’emissione fluida, la dizione, il  pieno controllo del mezzo in qualsiasi situazione. Il personaggio acquista pieno carattere a partire dal terzo atto e l’emozione vera la dà nel quarto, con una commovente Canzone del Salice e soprattutto con l’Ave Maria tutta giocata sui pianissimi con bellissimi suoni filati.
Ci ha fatto piacere ritrovare di nuovo in forma, dopo una lunga e forzata assenza dalle scene, Carlos Alvarez. Come Kunde ha alle spalle una formazione belcantistica che si ravvisa nella nobiltà di porgere il canto, nel controllo della voce, nella morbidezza della linea, nel fraseggio sempre appropriato. Non importa se nel Credo si avverta qualche cautela nel registro acuto, ci piace perché è vile e maligno senza essere mai sguaiato e ogni inflessione risulta perfetta nel contesto come del resto la presenza scenica di segno forte che catalizza l’attenzione. Difficile trovare nel panorama attuale un pari Jago.
Di buon livello il resto della compagnia di canto: Angelo Fiore è un Cassio sensibile, corretto il Roderigo di Naoyuki Okada, ci sono piaciuti il Montano di Claudio Ottino e il Ludovico di Seung Pil Choi. Unica pecca l’Emilia un po’ stridula di Elena Traversi.

Andrea Battistoni imprime una direzione trascinante e iperdrammatica che immerge l’opera in una spirale senza scampo. Certo, manca la rifinitura dei dettagli cameristici di cui la partitura è ricca e si avverte qualche scollamento nei concertati, ma la direzione del giovanissimo direttore veronese funziona perché estremamente avvincente e se ne apprezza il giusto colore, un’affascinante tinta scura ricca di pathos, che trova il suo apice nei preludi orchestrali del terzo e del quarto atto come  nell’ultimo congedo di Otello.
Buona la prova dell’orchestra, come pure un plauso all’impegno dimostrato dal Coro del Carlo Felice e da quello delle voci bianche preparati rispettivamente da Pablo Assante e Gino Tanasini.

Teatro esaurito, pubblico commosso, successo oltre ogni aspettativa. L’unico appunto è non avere previsto repliche più numerose.