La questura mette i sigilli al Teatro dell'Orologio. Mobilitazione della comunità e degli addetti ai lavori contro l'ordinanza con una manifestazione organizzata oggi sabato 18. Ci confrontiamo sul tema con Alessandro Longobardi.
Dopo il blocco dello stabile del Rialto Santambrogio, i sigilli toccano allo storico Teatro dell’Orologio. Alle 00.45 di ieri, venerdì 17, la Questura di Roma ha sbarrato le porte di accesso ai locali. Quasi quarant’anni di attività sui quali cala il sipario in una incursione notturna, in stile retata quando si parla di fatti di cronaca. Ma l’ordinanza disposta non riguarda corruzione, droga o associazioni a delinquere. Tocca una delle reti culturali della capitale, nel pieno centro storico. La violazione è sulle norme di sicurezza non ancora regolarizzate e che metterebbero a rischio l’attività di pubblico esercizio: in sintesi la mancata presenza dell’uscita di sicurezza.
Le norme vanno rispettate e se c’è un pericolo ‘effettivo’ il buonsenso non può non considerarlo. Molte sono le domande che sorgono sulla necessità ‘improvvisa’ di dover applicare tali norme, senza nemmeno consentire (o proporre a monte) un’alternativa concreta per l’organizzazione e per le compagnie ospitate (materiali di scena inclusi nei sigilli). Senza tenere conto che molte realtà culturali della città si trovano nella stessa situazione dell’Orologio e che al momento, le istituzioni oltre le ordinanze, non offrono spiragli di risoluzione.
E per quanto i sostenitori (pubblico, artisti, addetti ai lavori che già da ieri hanno manifestato solidarietà attraverso i social e che proseguono oggi con un raduno in Via dei Filippini durante il quale faranno suonare all'unisono sveglie e suonerie dei cellulari) comprendano perfettamente i rischi, allo stesso tempo non si trascurano i quasi quarant’anni di attività nei quali non è mai accaduto nulla di altamente pericoloso e quindi, forse, la possibilità di trovare un appianamento diverso, poteva spuntare. Le realtà oggettive non si discutono, sono discutibili le modalità di applicazione delle norme. Era davvero così difficile trovare un accordo che evitasse di togliere improvvisamente alla capitale uno dei punti culturali di riferimento?
Il Teatro dell’Orologio ha programmato negli anni oltre duecentocinquanta spettacoli e ospitato artisti provenienti da ogni parte dello stivale. Ogni anno apre la programmazione con ContaminAzioni, il festival degli allievi dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico (altra domanda che sorge spontanea: ospitando un’accademia pubblica, possibile che le istituzioni si siano svegliate insonni il 17 febbraio?).
Ha all'attivo svariate attività di formazione ed ha collaborato con il Romaeuropa Festival e con il Premio Riccione per il Teatro, organizzando il primo focus sui lavori usciti dal premio. Il personale presente è regolarmente assunto e l’elenco potrebbe proseguire. Eppure non è bastato per mettersi intorno ad un tavolo decisionale e sostituire le cinque ora di agonia prima dei sigilli con un dialogo sano, costruttivo e sinceramente meno invasivo. Quale è il senso del sondare, verificare, scandagliare tutto in una notte su una questione conosciuta, a metà febbraio nel fermento dell’attività teatrale e senza una valida alternativa in pronta consegna? Al momento, gli aiuti arrivano dal Direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi, che mette a disposizione degli artisti i locali del Teatro India. A posteriori e non per impegno politico.
L’annosa questione rimane ancora senza risposte, e chiedo ad Alessandro Longobardi, Direttore Artistico e organizzazione del Teatro Brancaccio, la Sala Umberto ed alcune realtà nella cintura di Roma, tra cui lo Spazio Diamante, un parere ed una delucidazione ulteriore sul tema sicurezza: "La questione delle norme di sicurezza pensate per le strutture che ospitano lo spettacolo dal vivo è delicata. Si deve partire dalla fonte. In Italia ci sono norme molto più rigide rispetto ad esempio al Regno unito o alla Germania . Basta andare in un teatro a Londra e rendersi conto o andare nei locali di Berlino. A volte sorge il dubbio: ma chi scrive le norme è proprio consapevole e competente e aggiungo (troppo) prudente, oppure c'è un pizzico di eccessivo timore che spinge a prescrivere di tutto di più per non caricarsi di alcuna responsabilità?
Tra l'altro esiste un giro di affari importante sulla sicurezza che può far pensare male. Si devono studiare i casi gravi e l'andamento degli incidenti per valutare il contenuto delle norme, che poi verranno applicate. Ora, L'Orologio per 37 anni ha lavorato e da 37 anni non si registrano incidenti. Sicuramente l'uscita di sicurezza è una questione vitale e il no della Sovrintendenza potrebbe essere riconsiderato; anche alla luce di interventi ben più traumatici approvati, come fu ad esempio il Sottopassino a Roma. Forse come sempre nella vita ci vuole un po' di sobrietà, buon senso, e a volte coerenza.
Le regole non si discutono ma andrebbero scritte meglio, non solo su dati teorici ma anche su casi statistici. Riguardo i teatri da noi gestiti, posso dire che abbiamo un ufficio solo per curare queste cose e che è molto costoso dover seguire tutti i precetti previsti dalla norma. Ogni tanto escono dei bandi per sostenere migliorie sul tema della sicurezza dei luoghi di pubblico spettacolo, ma la loro gestione è impensabile per strutture piccole. Senza alcuna polemica, a Roma manca un tavolo di confronto permanente sugli spazi e sulla politica culturale. Le istituzioni sono occupate su altro. Mentre gli operatori culturali hanno la responsabilità di non aver creato una associazione funzionante che li possa rappresentare. Gli Assessori alla cultura in genere mancano di iniziativa e hanno l'attenzione sui luoghi da loro gestiti dimenticando che lo spettacolo dal vivo è una attività di interesse pubblico, anche quando è svolta da soggetti privati .Qui mi taccio."
Tra tutti i perché, chiara sorge la situazione: soffrono gli operatori culturali per una mancanza di confronto con le istituzioni, soffrono le strutture per la difficoltà di gestione delle stesse, soffrono gli artisti che vedono spegnersi ogni giorni i fari guida della professione (tra l’altro ancora non regolamentata). In un paese che vanta una così grande tradizione storico-culturale, la condizione odierna del Teatro dell’Orologio fa riflettere. Deve far riflettere. E soprattutto, cercare di rimanere saldi ed intenzionati a creare una rete collaborativa con tutti gli organi preposti a controllo. Non si potrà continuare a fare cultura senza che la comunicazione di base non abbia la sua efficacia. E soprattutto, senza avere la reale consapevolezza sulle intenzioni della nostra amministrazione pensate per il settore.