Teatro

TAMARA DE LEMPICKA. La regina del moderno

TAMARA DE LEMPICKA. La regina del moderno

Tamara De Lempicka è stata moderna e internazionale già negli anni Venti e Trenta del Novecento, conosciuta in Europa e America del nord e del sud. La sua produzione è un ossimoro, come ha rilevato la curatrice Gioia Mori, perchè parte da una formazione classica sull'antico (sull'arte italiana in particolare, il suo preferito è Carpaccio) ma ha un grande amore per il moderno, l'acciaio, la lucentezza. Moderno al quale si avvicina non in modo accademico, perchè pesca elementi dalle altre arti, come il cinema, la grafica, l'arredo, la moda, la fotografia. Anticipando la pop art e Andy Warhol, lavora al tempo stesso su una cultura “alta” e su una cultura “bassa”.
Il percorso in mostra inizia con alcune foto giovanili, degli anni Venti (lei era nata nel 1898 circa): Tamara ha occhi allungati, pose da diva, abiti modernissimi. I dipinti di quegli anni sono tradizionali, con connotati mutuati dal cubismo, le linee rigide e gli angoli evidenziati (“Il cinese” e “La strada nella notte”), oppure con le forme ovaleggianti di Matisse (“Maternità”, “Nudo seduto di profilo” e “Nudo seduto”), o con una ascendenza dal post-impressionismo e dall'espressionismo (“Ritratto di bambina con il suo orsacchiotto” e “La bohémienne”). Nelle pose, soprattutto dei nudi, è chiara la memoria della cultura italiana, soprattutto del Rinascimento e del Barocco. In quegli anni è all'inizio allieva di Denis e Lhote, ma presto si rende autonoma, originalissima.
La “Donna in abito nero” inaugura la stagione del suo stile riconoscibile, personalissimo, coi grigi e i colori metallici, gli angoli rigidi, le pose fotografiche: “Madame Zanetos”, la “Duchessa di Valmy”, “Il velo verde”, le due bambine coi nastri azzurri. Permangono ricordi di infanzia, tenerissimi (“Natura morta con bambola russa” e “L'uccello rosso”). Tamara si impone come la regina del moderno: lo sguardo sull'oggi è perfetto, infallibile e implacabile, registra e anticipa (basta vedere il ritratto di Kizette, la posa, le scarpe, l'abito e il taglio dei capelli in quello del 1923 e poi quello successivo “in rosa”). Le pieghe si irrigidiscono, gli angoli si accentuano: il “Marchese d'Afflitto”, il “Marchese Sommi”, il “Principe Eristoff”, il “Granduca Gabriel Constantinovich”. Sontuosi, opulenti sono i nudi; invece attentissimi ai dettagli della moda i non nudi, come figurini. Moderna la sensibilità verso la natura (“Calle”). Il confine è breve e labile: dalle morbide curve dei nudi alla rigidità delle linee rette, dai colori caldi corporei a quelli metallici freddi.
Quindi le icone conosciutissime: “Nudo con grattacieli” (scatole modulari grigie), “Il telefono II”, “La sciarpa blu”, “Nudo con vele”, “Madame M”, “Donna con mandolino”. Ma Tamara non dimentica gli esuli (“I rifugiati” e “La fuga”). Poi, dalla fine degli anni Trenta, la produzione diventa più meditativa e attenta ad una visione meno originale della realtà proprio in quanto maggiormente realistica, ma il percorso è interessante per comprendere l'evoluzione della donna e dell'artista, il suo sguardo sul contemporaneo, certamente meno ispirato. Sono questi gli anni di Hollywood, della baronessa Kauffner (moglie di Raoul).
Molte opere del percorso romano sono le stesse della mostra di Milano (sempre curata da Gioia Mori e sempre con catalogo Skira, nostra recensione presente nel sito: https://www.teatro.org/rubriche/mostre_arte/tamara_de_lempicka_6677), ma qui il numero maggiore di pezzi e la più ampia sezione sul secondo dopoguerra fanno la differenza. Inoltre una sezione di arte polacca costituisce un confronto assai interessante, in quanto Tamara si era sempre sentita tale e a Parigi era stata la “rappresentante di fatto” della comunità degli esiliati.
Nelle bacheche lettere relative alla burrascosa, breve storia con D'Annunzio al Vittoriale (raccontata in un'intervista al pittore Francesco Monarchi pubblicata nel marzo 1929 sul Corriere Adriatico) e la documentazione delle due mostre in Italia durante la sua vita: Milano, Bottega di poesia (1925) e Roma, Galleria Sagittarius (1957). Per chiudere altre foto in bianco e nero, degli anni Settanta e Ottanta.
Il catalogo Skira si apre con un saggio di Gioia Mori sulle ragioni della mostra, che bene illustra il percorso della pittrice e dell'esposizione. Quindi Katarzyna Nowakowska-Sito analizza il rapporto con la Polonia, mentre Victor Manuel Contreras gli ultimi anni. Victoria de Lempicka contribuisce con un ricordo personale. Le opere in mostra sono raffigurate con ottime fotografie e schede esaurientissime, che propongono confronti con altre opere dell'artista e con opere di altri artisti. Chiudono gli apparati bio-bibliografici.

Roma, complesso del Vittoriano, fino al 10 luglio 2011, aperta dal lunedì al giovedì dalle 9,30 alle 19,30, venerdì e sabato dalle 9,30 alle 23,30, domenica dalle 9,30 alle 20,30, ingresso euro 12,00, catalogo Skira, infoline 06.6780664, sito internet www.comunicareorganizzando.it