Teatro

A Taranto le vendette galanti di Amore secondo Paisiello

A Taranto le vendette galanti di Amore secondo Paisiello

Grande successo per la prima esecuzione in tempi moderni di un raro componimento drammatico del celebre autore settecentesco

Nel 1786 un importante circolo filarmonico napoletano, la Nobile Accademia di Musica delle Dame e dei Cavalieri, commissionò a Giovanni Paisiello una cantata a quattro voci destinata ad arricchire una sfarzosa festa in onore dei sovrani, Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Austria. Nacque così Amor vendicato, una partitura raffinatissima e impegnativa nella quale il virtuosismo e l’espressività raggiungono un equilibrio raro.

La trama è avvolta da una patina galante perfettamente coerente con il contesto aristocratico per il quale l’opera vide la luce. Amore, sdegnato con Apollo che lo schernisce, decide di vendicarsi e perciò ferisce il cuore del dio del sole con un dardo d’oro, facendolo invaghire di Dafne; quest’ultima, però, resiste strenuamente al corteggiamento per restare fedele all’amato Alceo. Nelle fonti classiche, la ninfa si trasforma in alloro per sfuggire al nume che la incalza. Qui, invece, il librettista (che è l’elegante Antonio Di Gennaro duca di Belforte) opta per una conclusione lieta e perciò aggiunge un inedito epilogo alla vicenda. Di fronte ai rimorsi di Apollo e al dolore di Alceo, Amore ritiene compiuta la propria vendetta; pertanto decide di essere benevolo e invita i suoi amorini a fendere la dura corteccia dell’alloro e a liberare Dafne, che torna alla vita intatta e illesa. Segue una licenza encomiastica nella quale Apollo dichiara di non voler più ostacolare l’amore di Dafne e Alceo e sublima la propria passione erotica trasferendola dalla ninfa all’alloro, che pertanto diventa un sacro simbolo di virtù e di eccellenza artistica.

Dopo una ripresa nel 1790 al Teatro di San Carlo, “Amor vendicato” cadde nell’oblio al pari di tante altre pagine straordinarie di quell’epoca, che non conosceva ancora la sedimentazione del repertorio e andava costantemente alla ricerca della novità in un rapido avvicendarsi di gusti e di successi. Merita dunque uno speciale plauso il “Giovanni Paisiello Festival” di Taranto, che la sera dell’11 settembre, come piatto forte della sua tredicesima edizione, ha offerto la prima esecuzione in tempi moderni dell’interessantissimo lavoro. Organizzato dall’Associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”, il festival ha il merito di aver riscoperto molti lavori del compositore tarantino; la realizzazione di quest’anno segna un traguardo importante e lascia ben sperare nelle iniziative del 2016, duecentesimo anniversario della morte di Paisiello.

Amor vendicato è tornato alla vita nella suggestiva cornice del chiostro Rossarol. La performance è avvenuta in forma non scenica, coerentemente con la natura originaria della composizione (nel 1786, infatti, essa fu presentata al pubblico della Nobile Accademia senza apparati scenografici e senza costumi). I quattro cantanti impegnati nei ruoli principali hanno sfoggiato grande perizia tecnica e consapevolezza stilistica. Sabrina Santoro ha affrontato con sicurezza le vertiginose altezze della parte di Dafne, superando a pieni voti il banco di prova di un’aria pirotecnica come Avvezza al cimento ma giungendo anche a toccare corde più intime e raccolte nella bellissima cavatina Dolce sonno, amica quiete. Marina Esposito ha conferito il giusto smalto alla parte di Alceo, specialmente nel rondò Ho perduto il bel sembiante, reso con piglio deciso. Roberta Andalò si è fatta apprezzare nei panni di Amore per il timbro e l’eleganza; particolarmente riuscita è risultata la sua interpretazione dell’aria Cuori amanti, v’ingannate. Leopoldo Punziano, impegnato nel ruolo tenorile di Apollo, è stato preciso e incisivo e ha saputo coniugare pienezza di emissione e scioltezza nei passaggi d’agilità. Molto applaudito anche il cammeo del soprano Valeria La Grotta, che ha cantato con appropriata brillantezza il recitativo accompagnato della Gloria nella licenza encomiastica.

Buona la prova del coro Choraliter diretto da Pierluigi Lippolis, chiamato a un triplice intervento dal suggestivo effetto spaziale e poi coinvolto nel festoso vaudeville conclusivo. All’insieme vario e dilettevole ha conferito unità la direzione di Mariano Patti, che ha guidato con gusto l’orchestra da camera del Giovanni Paisiello Festival. Al cembalo Dario Candela, accorto e fantasioso nella realizzazione del basso continuo. La riuscitissima serata è stata molto apprezzata dal numeroso pubblico, che ha tributato applausi covinti a tutti gli artisti.