Piccolo spazio off per due direttori artistici e nove compagnie residenti. Voglia di convivere senza dispersione di identità, esigenza di esplorare il presente lasciando aperto il sipario anche sui "classici".
Un’occhiata alla gestione e al cartellone del Teatro Libero di Milano consente di toccare con mano alcune sfide della drammaturgia contemporanea, sia sul fronte della gestione sia su quello delle scelte artistiche. La sala di via Savona 10, in zona Navigli, è piccola, ma molto affollata.
Si regge infatti su due direttori artistici, Corrado Accordino e Manuel Renga, coadiuvati da Monica Faggiani, e nove compagnie residenti. Le diarchie non sono di per sé una novità assoluta. La rinascita teatrale italiana del dopoguerra ne vanta anzi esempi illustrissimi: basti dire Grassi/Strehler al Piccolo di Milano o Chiesa/Squarzina allo Stabile di Genova.
Paradossalmente, dimensioni così ridotte, che non consentono una spiccata divisione di ruoli, ma un’inevitabile sovrapposizione, risultano terreno fertile per una necessaria sintonia, che, per il momento, sembra non sia mancata: tra gli spettacoli di quest’anno, nessuno appare un retorico esercizio di stile, tutti mordono la carne viva della società.
Rodaggio positivo anche per le compagnie che alternano le loro produzioni a quelle degli ospiti e alle rassegne. Tra loro, sono presenti: Teatro Binario 7 – La danza immobile, Chronos 3, Skené, Pianoinbilico, Palco Off, Effetto Morgana.
In che cosa consiste dunque la sintonia di fondo espressa in forme diverse? Ecco qualche esempio tra gli spettacoli in cartellone.
Prima linea di tendenza evidente: l’attenzione al presente non significa preclusione nei confronti dei classici. Fino al 26 febbraio, infatti, va in scena Creditori, di August Strindberg. Nello spettacolo diretto da Luigi Guaineri e interpretato da Monica Faggiani, Fabio Banfo e Fabrizio Martorelli, un pittore rampante porta alla rovina un professore; la moglie dell’indebitato segue l’altro, icona di successo e di potere, ma il triangolo di matrice ottocentesca è soltanto un pretesto per un discorso sulla sopraffazione che non lascia trapelare segni di invecchiamento
Un tema analogo si può rintracciare nella prima nazionale di Call of Duty, in scena dal 13 al 19 marzo. Le radici del racconto, in questo caso, affondano nella cronaca e nella storia di oggi. Lo spettacolo, diretto da Manuel Renga e interpretato da Valerio Ameli, Francesco Meola e Sara Rubino, fa riflettere sulla “chiamata al dovere” dei terroristi. Sui perché della guerra infinita e senza quartiere che insanguina il Terzo Millennio non sanno rispondere esaurientemente neppure gli storici e i politici. Può pretendere di farlo il teatro? Certamente no. Interessante però il proposito mostrare senza ipocrisia certi meccanismi della manipolazione di massa.
Con Le buone maniere, monologo firmato da Francesco de Vito, il regista e interprete Michele Di Giacomo ripercorre in scena, dal 22 al 28 maggio, la storia della banda della Uno Bianca. Le vicende che riaffiorano attraverso i ricordi di Bruno Savi, in cella, ripropongono giorni bui per l’Italia: quelli di una mela marcia che le Forze dell’Ordine scoprirono al proprio interno.
Un altro Paese è quello raccontato da Alfredino, di e con Fabio Banfo, in scena dal 5 all’11 giugno. Il sottotitolo, L’Italia in fondo al pozzo, non è un invito al pessimismo: pur essendosi dimostrati vani, i tentativi di salvare il piccolo Alfredo Rampi, precipitato in un pozzo a Vermicino - tra errori ed eccessive spettacolarizzazioni - restano un esempio di coraggio, a volte di abnegazione.
Il CARTELLONE COMPLETO degli spettacoli in scena al Teatro Libero di Milano.