Aldo Trionfo (1921 - 1989), uno dei quattro pilastri del sapere teatrale del '900, accanto a Visconti, Strehler e Ronconi, mette in scena a Torino il Peer Gynt di Ibsen nel 1972. Il testo con la traduzione di Anita Rho, la riduzione, oltre che la regia, di Trionfo, si avvale delle scene e costumi di Emanuele Luzzati, musiche di Edvard Grieg. Il cast, eccezionale, è composto da Corrado Pani, Franca Nuti, Leda Negroni, Franco Branciaroli, Franco Mezzera, Cecilia Polizzi. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Stabile di Torino di cui Trionfo è direttore artistico e lo resterà per i successivi quattro anni. Di quegli anni creativi e fervidi per il teatro italiano, Aldo Trionfo ne rappresenta un esempio notevole e innovativo. Il suo è un teatro dove la spettacolarità si innesca perfettamente con il concetto dei canoni di rinnovamento registico che si instaura in quegli anni: Trionfo rappresenta un teatro pieno di visionarietà e simbolismi che ben si adatta alle nuove tematiche. Dissacratore e provocatorio con i suoi spettacoli incanta pubblico e critica grazie alle rivoluzionarie messinscene ricche appunto di un'inventiva giocosa e ironica insieme che deriva anche dai suoi esordi in teatro come mimo. Di lui si ricorda, inoltre, una mitica messa in scena dello spettacolo Faust-Marlowe-Burlesque, scritto in collaborazione con Lorenzo Salveti, con Carmelo Bene e Franco Branciaroli.
Genovese di nascita, di famiglia ebraica, Trionfo approda allo Stabile di Torino sulla scorta del successo di Puntila e il suo servo Matti di Bertolt Brecht, con Tino Buazzelli e Corrado Pani. Torino lo accoglie in maniera positiva dimostrando, come ha fatto in altre occasioni, di essere una città aperta alle innovazioni, con una forte vocazione internazionale, nonostante l'imprinting di città sabauda e in qualche modo conservatrice, ruolo che la Storia le aveva consegnato. Tra l'altro il passato teatrale di Torino e del suo Stabile hanno un peso importante nella storia del Teatro italiano. “Il Piccolo Teatro della Città di Torino nacque il 27 maggio 1955, nell’edificio del Teatro Gobetti in via Rossini.. Dopo la crisi del ventennio fascista e la guerra, al nuovo Piccolo Teatro della Città di Torino fu affidato il compito di risollevare la tradizione del “teatro d’arte” nella città che nella prima metà dell’Ottocento aveva dato vita alla Compagnia Reale Sarda e, nel primo Novecento, all’intensa esperienza del Teatro di Torino di Riccardo Gualino, soffocata dal regime mussoliniano.” (Teatro Stabile di Torino). Nel 1961 ci sarà il passaggio alla prestigiosa sede del Teatro Carignano, mentre il riconoscimento a Teatro Stabile era già avvenuto precedentemente. Trionfo si trova al timone dello stabile Torinese in anni, come si diceva, importanti e fervidi per il teatro, con l'avanguardia che ormai rappresenta una realtà e la figura di un nuovo tipo di regista che stravolge tutte le caratteristiche tradizionali. Trionfo che appartiene a questa categoria innovatrice per la sua messinscena del Peer Gynt, dramma complesso di forte valenza onirica e fantasiosa, si avvale di collaborazioni illustri come quella di Emanuele Luzzati, per scene e costumi, di Corrado Pani - perfetto nei panni dello scavezzacollo pieno di poesia, di fantasia e di bugie – che percorre con lucida bravura la vita del protagonista, giovane ad oltranza fino alla vecchiaia. Con Franca Nuti, grande e intensa nella sua modernità, e l'allora quasi esordiente Franco Branciaroli, straordinario, che ha delle scene recitate su di un cavallo a dondolo. Così eccezionali Mezzera, la Negroni, la Polizzi. Una messinscena immaginifica e visionaria che incanta per un testo assolutamente complesso e che rappresenta forse la summa della concettualità teatrale, letteraria e filosofica dei primi del '900.
“Aspetta solo che io abbia fatto qualcosa...qualcosa di straordinario”, è questa una delle frasi chiave per individuare il personaggio di Peer Gynt, dramma scritto da Ibsen (1828 – 1906) nel 1867 all'età di trentanove anni tra Roma, Ischia e Sorrento. Tre anni prima in condizioni di quasi povertà, aveva abbandonato, in volontario esilio, la Norvegia e i suoi compatrioti che non apprezzavano né comprendevano la sua scrittura. Questa era votata ad indagare la complessità dell'animo umano e soprattutto la figura dell'uomo moderno sospeso tra il decadimento dell'Europa ottocentesca e i cambiamenti sconvolgenti di un nuovo secolo quale il '900, dove il malessere di vivere, le contraddizioni sociali, l'incomunicabilità tra gli esseri umani erano palesi e la classe borghese si accampava mettendo in luce le sue crepe. Considerato un caposcuola del teatro moderno europeo, insieme a Strindberg, i suoi drammi infatti, riflettono tensioni che oscillano tra un mondo simbolico, onirico, tra difficili e torbidi rapporti familiare, tra vita sociale e politica del tempo. Dunque Ibsen è specchio di un tormentato passaggio tra due epoche, come lo è Freud, padre della psicanalisi e tanti altri grandi che si pongono domande e indagano nella psicologia dell'uomo come Joyce, Musil, Svevo, Karl Krauss, ecc.
Il Peer Gynt fu scritto dapprima in versi, non essendo destinato alla trasposizione teatrale ma sei anni più tardi, quando Ibsen con la pubblicazione del dramma Brand aveva raggiunto fama e ricchezza, venne rappresentato in patria a Christiania (l'odierna Oslo) in un teatro gestito da persone di larghe vedute. Tra l'altro lo stesso Ibsen aveva già trascorsi teatrali: aveva lavorato non solo come assistente teatrale e direttore di teatro ma aveva anche già scritto piéce teatrali. Per il suo dramma, dai toni surreali e apparentemente favolistici, Ibsen aveva pensato ad un accompagnamento musicale e chiese ad Edvard Grieg, uno dei musicisti più moderni ed acclamati del momento, di occuparsene, Grieg accettò. Successivamente la fortuna del Peer Gynt ha avuto una grande diffusione anche per la parte musicale di Grieg. Peer Gynt è un personaggio prismatico e difficile: eterno fanciullo, antieroe, vive in povertà con la madre dopo che il padre, ubriacone, ha perso tutto il suo patrimonio. La vita di Peer è una vera avventura ed è piena di quei simbolismi tormentosi che caratterizzano appunto il disagio di vivere. Peer vuole recuperare onori e ricchezze ma si perde in sogni ad occhi aperti e si trascina senza far nulla; viene coinvolto in una rissa, fugge dal paese; viaggia per diversi anni pur avendo conosciuto l'amore di Solveig che lo attenderà tutta la vita. Infine ritornerà da vecchio e dopo svariate vicissitudini da Solveig che con il suo amore lo redimerà. Il testo affonda spesso nei miti fondamentali del romanticismo (come il Faust di Goethe), negli archetipi dello Sturm Und Drang: Peer nel suo vagabondare incontra due strani personaggi: il Fonditore di Bottoni il quale sostiene che l'anima di Peer deve andare nel crogiolo di un fonditore insieme ad altri oggetti mal riusciti se lui non è in grado di dire quanto nella sua vita è stato se stesso, e, ancora, un personaggio chiamato l'Uomo Magro – forse il Diavolo – il quale crede che Peer non sia un vero peccatore da mandare all'Inferno. Afferma Luca Doninelli nelle “Note per una lettura del Peer Gynt (Teatro degli Incamminati)”: “Ci troviamo, con quest'opera, ad un momento di passaggio non solo nella storia della scrittura teatrale, ma, forse, nella storia della cultura europea fra l’età classica (che il Romanticismo rispetta nel suo aspetto che qui c’interessa, quello formale) e l’età moderna; sarà lo stesso Ibsen a risollevare Io spettatore dal compito che il “Peer Gynt” gli richiede allorché, nelle opere successive, compirà uno storico mutamento di rotta verso un teatro di tipo borghese, ossia un teatro in cui la situazione rappresentata non sarà più, come in età classica, determinata dal linguaggio, bensì dalla coscienza onde il linguaggio s’incaricherà di fungere da specchio. Nasce l’illusione scenica, nasce il realismo (che in Ibsen rimane pur sempre visionario).”
Dunque un'opera di passaggio che fonde in sé letteratura, teatro, filosofia e psicologia e di questo testo così complesso, di questo mondo, di questo dramma Trionfo ne colse l'aspetto spettacolare e visionario, come si è detto ma, altresì, ne restituì tutta la tribolazione e il malessere di vivere dell'uomo di cui è permeata la piéce, accentuandone attraverso il gioco delle metafore la modernità come era suo modo e costume di costruire l'architettura di uno spettacolo teatrale e per farlo rimanere nella memoria di quanti lo hanno visto. Così il teatro assolve la sua funzione di agire attraverso il tempo e lo spazio verso il futuro.