Teatro

Torna in Laguna la Carmen di Bieito

Torna in Laguna la Carmen di Bieito

Nell’ottica di ottimizzare le proprie risorse, riprendendo una saggia consuetudine propria di tutte le istituzioni musicali fuori del Bel Paese, generalmente meno scialone delle nostre, il Teatro La Fenice da un paio d’anni ripropone nella nuova stagione alcuni allestimenti di quella precedente. La risposta è stata sinora positiva, dato che gli spettatori hanno sempre affollato le riprese, e ciò fondamentalmente  per due motivi. Primo, sinora sono stati riproposti spettacoli di alta qualità, come nel caso del riuscito trittico Da Ponte /Mozart di Damiano Michieletto; secondo, nel riempire la sala veneziana del Selva gioca molto il fatto che il pubblico è composto, in parte non trascurabile, anche da quei turisti di passaggio che non mancano di prenotare per tempo una serata a teatro; per i quali, quello che a noi potrebbe sembrare ‘vecchio’, per così dire, risulta sempre nuovo.
Ciò premesso, questa avvincente  “Carmen” di Calixto Bieito, affiancato per le scene da Alfons Flores e per i costumi da Mercé Paloma, come en sa chi ci legge è apparsa per la prima volta al Liceu di Barcellona nel 2010,  ed è risultata vincitrice del Premio Abbiati per la migliore regia lirica. Approdata sulle scene veneziane ancora nel maggio 2012, è stata in quell’occasione ampiamente commentata sulla nostra testata – specialmente dal lato visivo - da Francesco Rapaccioni; ed a tale esaustiva recensione rimando i lettori che la potranno leggere al link https://www.teatro.org/spettacoli/recensioni/carmen_23578 .
A distanza di un anno abbondante, la zingara di Bizet è dunque ritornata alla Fenice nello stesso allestimento, con sei recite settembrine dirette da Diego Matheuz cui faranno seguito altre tre recite a metà ottobre dirette invece da Omer Meir Welber; con il medesimo timone musicale cioè dell’anno scorso. E vi ha fatto ritorno con un cast leggermente modificato, il che suggerisce l’opportunità di tornarne a parlare.
Cominciamo dal podio, intanto: Matheuz è direttore principale della Fenice da un paio d’anni, e sotto la sua guida la compagine veneziana, già notoriamente assai efficiente, mi pare ancor più potenziata quanto a sensibilità e duttilità esecutiva. Così, in questa “Carmen” il suono orchestrale impostato dal trentenne maestro venezuelano appare accattivante, luminoso, ricco di colori ed impasti timbrici; la tensione drammatica drammaticamente serrata, e l’esecuzione ricca di particolari, di estro ed inventiva, servendo agli interpreti su di un piatto d’argento un tappeto musicale ammirevole.
Veronica Simeoni, già presente alle prime date, ha passato il testimone nella recita cui abbiamo assistito, ed in quelle successive di ottobre, al giovane mezzosoprano svedese (ma di origine greca) Katarina Giotas, che già l’anno scorso si alternava, qui a Venezia, con Béatrice Uria-Monzon. Non ha la stessa statura vocale della nostra brava cantante romana – dotata di un bel timbro vellutato, e di volume da spendere – ma ha dimostrato di cavarsela comunque con onore nei panni della focosa gitana: ha voce interessante, fraseggia con buona eleganza, possiede una spiccata personalità ed in più, cosa che non guasta, anche una bella figura. Una Carmen degna di considerazione, dunque, che ha il suo vero punto di forza nelle scene di seduzione – tutto il dramma bizetiano, ricordiamolo, è inteso dalla regia come un’apoteosi di incoercibili impulsi sessuali – e sa cavarsela con onore nella drammatica scena delle carte e nel torrido duetto finale, dove una recitazione perfetta la rende assolutamente credibile. 
L’anno scorso Stefano Secco debuttava proprio qui in Fenice il ruolo di Don Josè, impostandolo sul versante sentimentale: sentendolo cioè come un bravo ragazzotto di campagna alle prese di affari più grandi lui, piuttosto che un soldataccio macho, mosso da spinte puramente ormonali e dal coltello facile. Insomma, sceglieva di privilegiare il cotê lirico più che quello eroticamente passionale; in questo scorcio settembrino l’esecuzione ci è parsa sempre valida, nel tono e nell’enfasi, ma stavolta un po’ meno rifinita del solito, come se aleggiasse una qualche stanchezza sull’interprete. Sempre calzante in scena la Micaëla di Ekaterina Bakanova, una Micaëla pensata da Bieito come una borghesissima e banalissima ragazza, che tiene al suo José più per garantirsi un tranquillo ménage familiare che per vero slancio amoroso; il trepidante momento de «Je dis que rien ne m’épouvante» del soprano russo non entrerà negli annuari, ma riusciva senz’altro commovente. Alexander Vinogradov era un Escamillo tutto sangue e sesso, nel complesso cioè ruvido e senza eleganza; resterebbe da esaltare il ragguardevole  volume di voce ed il timbro tagliente, ma non mi pare che bastino a tracciare con la giusta veemenza il suo personaggio. Tutte i comprimari hanno lavorato sodo e bene, efficienti nel canto e nella recitazione: ed erano Sonia Ciani (Frasquita), Chiara Fracasso (Mercédès), Dario Ciotoli (Moralès), Matteo Ferrara (Zuniga), Francis Dudziak (Le Dancaire), Rodolphe Briand (Le Remendado). L’attore Cesare Baroni ha reso concrete le idee registiche, con il suo corpulento Lillas Pastia. Hanno dato buona prova sia il Coro della Fenice curato da Claudio Marino Moretti, sia i Piccoli Cantori Veneziani preparati  da Diana D'Alessio.