La storia della piccola comunità danese, metafora di un'Europa assediata dai populismi e dal potere economico, non entusiasma il pubblico di Modena.
È arrivato a Vie Festival 2016 l’ultimo lavoro di Anne-Cécile Vandalem, prodotto dalla compagnia belga Das Fräulein e dal Teatro di Liegi, e coprodotto da diversi teatri fra cui, all’interno del progetto formativo Prospero, anche dalla fondazione Emilia Romagna Teatro. Applaudito al Festival di Avignone e insignito del Premio della Critica belga 2015-2016, Tristesses è uno spettacolo realizzato con intelligenza per stimolare l’attenzione e la curiosità del pubblico lungo l’intera durata della messa in scena, pari a quasi due ore e mezza.
Una scenografia ben costruita riproduce lo scorcio di un villaggio remoto, l’immaginaria isola di Tristesses dove si svolge la vicenda, illuminata con sapienza da una luce lugubre e desolante; uno schermo collocato al centro della scena trasmette le immagini riprese in diretta da un sistema di telecamere puntate all’interno delle case del villaggio, e governate da una regia meticolosa, che permette così di scandire la storia su un doppio livello teatrale e cinematografico; due musicisti dall’aria fantasmatica eseguono musiche dal vivo a commento sonoro di una parte delle scene, a cui si aggiunge la voce melodiosa e triste di un soprano, che interpreta lo spettro di un personaggio.
Il lavoro mette in scena il rapporto fra il potere e la mancata felicità delle persone, con la rappresentazione di una piccola comunità isolata nella quale le scelte della politica hanno provocato una diffusa depressione e l’alienazione delle relazioni umane. Quanto più gli individui cercano soccorso nel potere, tanto più le loro energie vengono frustrate, deteriorandosi in spinte autodistruttive o in rassegnata soggezione. Il principio della rana bollita enunciato da Noam Chomsky.
Da un punto di vista della drammaturgia, la storia parte con colori misteriosi e un clima vagamente ibseniano, intercalato da situazioni grottesche con risvolti anche comici; più avanti la scrittura vira verso il noir, con piccoli elementi d’incongruità che prospettano un imminente riallineamento del senso. Infine sul finale compaiono più apertamente le chiavi di lettura politica dell’intera vicenda, con un susseguirsi di scoperte e rivelazioni che mantengono aperta la trama fino alla fine.
Tuttavia quest’abbondanza di elementi si rivela un limite della drammaturgia: l’elevato numero d’ingredienti non si combina in una scrittura fluida e conseguente, ma segmenta la narrazione in episodi che non sempre scorrono limpidamente l’uno nell’altro; la parte finale, in particolare, risulta sovraccarica di svelamenti, colpi di scena e spiegazioni politiche, a volte anche un po’ didascaliche, per ricucire le ragioni della trama; senonché questo eccesso di temi sottrae robustezza al fatto narrativo, concludendo la messa in scena in un anticlimax che sfuma dal caos.
Efficace la regia, rigorosa e chiara, con un cast di buon livello, di cui si apprezza la generale nitidezza di esecuzione e la capacità degli attori di oscillare con chiarezza fra i registri. Fra gli interpreti si fanno notare la stessa Vandalem, nel ruolo di una donna in carriera algida e volitiva, e Vincent Lécuyer, nel ruolo di un parroco ipocrita e fragile. Pregevoli le scritture musicali di Vincent Cahay et Pierre Kissling, soprattutto nelle parti vocali affidate a Françoise Vanhecke. A differenza di quello di Avignone, l’applauso del pubblico del Pavarotti di Modena non sembra andare oltre la misura dell’educata cordialità.