Teatro

Turandot inaugura la stagione del Comunale di Bologna

Turandot inaugura la stagione del Comunale di Bologna

Giovedì 19 gennaio alle 20 Turandot inaugura la stagione del teatro Comunale di Bologna nell'allestimento del teatro Petruzzelli di Bari, con cui il teatro è stato riaperto al pubblico. L’allestimento termina con la scena della morte di Liù e del corteo funebre, punto in cui si interrompe il lavoro di Puccini. Dirige l’orchestra e il coro il maestro Fabio Mastrangelo; la regia è di Roberto De Simone; le scene sono di Nicola Rubertelli, i costumi di Odette Nicoletti e le luci di Daniele Naldi; maestro del coro è Lorenzo Fratini, preparatore del coro di voci bianche è Alhambra Superchi.

Dramma lirico in tre atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni dalla fiaba teatrale di Carlo Gozzi, Turandot torna sul palcoscenico del teatro bolognese dopo 14 anni di assenza in un allestimento tanto suggestivo quanto puntiglioso nel porre l’accento sulle fonti che sono alla base della vicenda narrata e sulla complessa simbologia sottesa alla apparente fiaba della crudele principessa cinese.
In una scena maestosa dove viene ricostruito un grande palazzo, “una specie di Walhalla, la sede degli Dei”, come la definisce De Simone, il regista napoletano ha elaborato un progetto rappresentativo “che principalmente si riferisce all’aspetto favolistico di tipo arcaico, pure accogliendo gli elementi storico-stilistici, accumulati e stratificati nel corso del tempo ed emergenti polistilisticamente nella stessa musica del geniale musicista lucchese”. Muovendo dalle radici più arcaiche della storia narrata da Carlo Gozzi, che all’ambientazione esotica univa la presenza delle maschere della Commedia dell’Arte, Roberto De Simone evidenzia i riferimenti ai cicli astronomici e all’opposizione tra maschile e femminile, che solo nel finale diventano complementari. Sottolineando l’originalità della versione pucciniana della vicenda di Turandot, affrontata dal compositore in chiave tragica ma eroica, De Simone insiste sul fatto che il finale drammaturgico di
Simoni e Adami e quello musicale completato da Franco Alfano rappresentano per lui “una “forzatura” borghese rispetto al mito originale, in cui la Principessa crudele è vittima di un incantesimo di possessione”.

Nell’attesissimo ruolo di Turandot debutta Tamara Mancini, soprano americano che si alterna nelle repliche con Elena Pankratova. Debutto nel ruolo anche per il coreano Yonghoon Lee che interpreterà Calaf  insieme all’italiano Francesco Anile. Completano il cast Karah Son e Virginia Wagner nel ruolo di Liù; Alessandro Guerzoni nel ruolo di Timur; Marcello Rosiello nel ruolo di Ping; Stefano Pisani nel ruolo di Pong; Mario Alves nel ruolo di Pang; Stefano Consolini nel ruolo di Altoum; Nicolò Ceriani nel ruolo di un Mandarino; Andrea Taboga e Martino Fullone nel ruolo del Principe di Persia; Silvia Calzavara/Rosa Guarracino e Maria Adele Magnelli/Marie-Luce Erard nei ruoli delle Due ancelle. 
Turandot replica sabato 21 (ore 18.00, Pomeriggio), domenica 22 (ore 15.30, Domenica), martedì 24 (ore 20.00, sera C), sabato 28 (ore 18.00 sera A), domenica 29 (ore 15.30, Fuori Abbonamento), martedì 31 (ore 20.00, sera B). L’opera sarà trasmessa in diretta radiofonica da Rai Radio 3.
In occasione delle recite di Turandot, nel Foyer Respighi del Teatro saranno esposte le foto della prova generale dell’opera, realizzate da Rocco Casaluci.

Il 25 aprile del 1926 Arturo Toscanini diresse il debutto di Turandot alla Scala. Giunto al momento in cui Liù muore, il grande direttore si voltò verso il pubblico e pronunciò parole passate alla storia: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto». Giacomo Puccini, nonostante cinque anni di febbrile lavoro, non riuscì, infatti, a portare a termine il suo ultimo capolavoro. Il 29 novembre del 1924 si era spento a Bruxelles. In clinica aveva portato con sé quei 23 fogli, che poi – pur trattandosi solo di abbozzi – andranno a costituire il materiale sul quale Franco Alfano (primo di una non lunga schiera) elaborerà il finale mancante. Il soggetto peraltro aveva conosciuto una buona fortuna fin dalla versione teatrale del Gozzi (1726), poi tradotta da Schiller. E’ su questo testo (in una traduzione di Andrea Maffei) che lavoreranno Adami e Simoni, i due librettisti di Puccini. Rispetto alla fiaba drammatica del Gozzi (ed anche alla versione che Busoni aveva realizzato qualche anno prima), Puccini abbandona il contesto da commedia dell’arte e dei sentimenti (la trama gioca sul topos favolistico della bella principessa da conquistare risolvendo una serie di enigmi), e riporta l’intera vicenda nella dimensione a lui più congeniale: quella dell’amore come passione che spinge i protagonisti a metter in gioco persino la loro vita. Un tema che Puccini, fin da Manon Lescaut, affronta da diverse angolazioni approfondendolo, con grande sensibilità ed ossessiva costanza, nei suoi più diversi aspetti.