Per la serie "Specchi del tempo" arriva all'opera di Roma Narek Hakhnazaryan che incanta il pubblico insieme all'orchestra diretta da Ingo Metzmacher.
Secondo concerto della serie Specchi del tempo (iniziativa che accosta brani del Novecento storico e della musica contemporanea a un’opera del grande repertorio) al Teatro dell’Opera di Roma, sul podio il direttore tedesco Ingo Metzmacher con la partecipazione del nuovo astro del violoncello, il giovane armeno Narek Hakhnazaryan. Dopo una introduzione illuminante di Stefano Catucci, una rappresentanza del Coro del Teatro dell’Opera, sotto la direzione di Roberto Gabbiani, ha cantato il madrigale di Luca Marenzio L’aura ch’i verde Lauro e l’aureo crine su testo di Petrarca.
E’ stata poi la volta di The Unanswered Question di Charles Ives (1874 -1954), un classico della “nuova musica” scritto nel 1908 e rielaborato negli anni ’30. Su un morbido tappeto di suoni degli archi, che suonano sempre in pianissimo, una tromba fuori campo intona “l’eterna domanda sull’esistenza”, come scrive l’autore in una nota introduttiva. La domanda viene ripetuta ottusamente per sei volte in modo sempre più lontano e discordante dall’evoluzione del respiro degli archi, ma non c’è risposta. Solo un quartetto di flauti, posizionati in una barcaccia, prova ad interloquire, ma in modo frammentato, confuso e improvvisato, sempre più dissonante. La tromba insiste un’ultima volta e la risposta rimane sospesa mentre incombe il silenzio.
Il secondo brano in programma è il Concerto per violoncello e orchestra n.1 op.107 di Dmitrij Shostakovich. Anche qui appare una domanda, un improvviso motto, un essenziale frammento melodico, che sarà il filo conduttore di tutta la composizione. I tempi sono quattro. Nel primo Allegretto in forma sonata, il motto iniziale si relaziona e si contrappone a un secondo tema molto cantabile, legato alla tradizione popolare russa: il ritmo è spesso ossessivo e incalzante, contrappuntato da esplosivi interventi degli ottoni e delle percussioni. Il secondo movimento Moderato è più lungo e articolato, la melodia è morbida e sentimentale, qui il ruolo del violoncello suggerisce le suggestioni della voce umana. Di seguito senza interruzioni arriva la Cadenza per il solo violoncello, le rielaborazioni delle melodie dei primi due tempi sono colme di spettacolari effetti, di grande difficoltà tecnica. L’Allegro con moto finale è un esplosivo rondò che ancora una volta richiama la musica popolare russa, il susseguirsi di trovate e di invenzioni lascia senza fiato, il motto iniziale del violoncello appare di nuovo ma è più veloce e ci conduce all’agognata conclusione. Siamo di fronte ad un capolavoro che non tutti possono suonare, Shostakovich lo ha dedicato al grande Rostropovich che ne è stato anche il primo esecutore e probabilmente ha collaborato alla sua messa a punto viste le grandi difficoltà che comporta la sua esecuzione. Ma il giovane Narek Haknazaryan (nome difficile, ma che dovremo imparare) ha affrontato gli ostacoli con serena maturità, facendo scivolare i passaggi più ostici con la disinvoltura dei grandi, degno del prezioso Guarneri del 1707. Applausi entusiastici del folto pubblico, accompagnati da quelli dell’orchestra, ripagati con un’altra perla, Lamentatio di Giovanni Sollima.
La seconda parte della serata è dedicata a un capolavoro riconosciuto, la Sinfonia n.3 in fa maggiore op. 90 di Johannes Brahms. La lettura di Ingo Metzmaker con la inconsueta disposizione dell’orchestra, con le viole e i violoncelli che si sono scambiati il posto, enfatizza il carattere luminoso dell’opera. Anche qui l’improvvisa comparsa del tema iniziale costituisce una specie di motto che caratterizza tutta la sinfonia. Soprattutto risaltano i tratti più eroici mentre risultano un po’ attenuati i momenti più intimi e lirici, fino al misterioso finale. Dopo un opportuno e silenzioso respiro, l’affollata platea del Costanzi è esplosa in un grande applauso al Direttore e all’orchestra, confermando il gradimento del pubblico romano per l’iniziativa.