Teatro

Un Lepage troppo à la page

Un Lepage troppo à la page

Grandi erano le aspettative per “Le Dragon Blue” di Robert Lepage, una sorta di sequel alla "Trilogia del Dragone" da lui firmata nel 1985. Lo spettacolo, che in un primo momento doveva chiudere il Napoli Teatro Festival Italia 2011, è poi diventato, per lo slittamento di date, quello inaugurale dell’edizione che segna  passaggio dalla precedente direzione di Renato Quaglia a quella del neo incaricato Luca De Fusco. Due serate, quella inaugurale del 26 e quella di replica del 27 giugno, che hanno visto riempire la sala del Real Teatro San Carlo dal cosiddetto pubblico “da grandi occasioni” dal neo sindaco partenopeo Luigi De Magistris, ad esponenti della cultura e dello spettacolo tra cui Gabriele Lavia, Margherita e Giovanna Di Rauso,Umberto Orsini, Valentina Sperli e la scrittrice Antonella Cilento (alcuni di loro li vedete nella galleria, immortalati dall’obiettivo di Flaviana Frascogna), ma anche da spettatori interessati ed incuriositi da quello che si auspicava fosse un evento teatrale alla stregua  del pluri - celebrato  “Lipsinch”, opera fluviale dell’artista canadese, che affascinò e coinvolse il numeroso pubblico accorso all’inaugurazione della scorsa edizione del Festival. In scena, quest’anno, tre attori che danno vita ad altrettanti personaggi, protagonisti di un triangolo affettivo dai colori “pinteriani” che da la spinta a Lepage di affrontare temi quali l’omologazione, la difficoltà di confrontarsi con l’altro, il senso materno, il sistema dell’adozione, la globalizzazione economica, e quant’altro, per la verità, già abbondantemente espresso in “Lipsinch”, ed è appunto questo, a nostro avviso,  il motivo per cui da “Le Dragon Blue” si esce con una sorta di insoddisfazione dolente.  Certo, chi non ha avuto la fortuna  di assistere allo spettacolo – colossal della scorsa edizione del festival, non può rimanere insensibile (nel bene e nel male) al linguaggio visivo di Lepage, al suo uso “cinematografico” del palco, alla perfezione stilistico-tecnologica in cui i suoi attori agiscono con disinvoltura, ma la sensazione che si prova, mettendo inevitabilmente a confronto le due opere, è quella di una sorta di furba riproposizione di un format che non trova ragione di essere, soprattutto se lo stilismo sovrasta la drammaturgia.  Se, infatti, lo scorso anno abbiamo plaudito l’uso della tecnologia da parte di Lepage perché sosteneva un discorso narrativo e contenutistico in maniera attinente ed originale, oggi non possiamo non registrare un compiacimento, da parte dell’autore, che poco aggiunge, anzi, quasi toglie, alla meravigliosa sensazione di fascinazione provata in precedenza. Naturalmente parliamo comunque di uno spettacolo interessante, perfetto stilisticamente ed ottimamente interpretato, ma si avverte l’assenza di un’anima che è indispensabile nella trasmissione del verbo teatrale, una sorta di schiacciamento di tutto quanto di positivo possano esprimere drammaturgia ed interpretazione, da parte di un gigantesco e roboante uso di effetti speciali, che banalizzano l’operazione anziché arricchirla o sostenerla. Diamo comunque merito alle interpretazioni dei tra attori in scena a cominciare dalla bravissima  Marie Michaud (coautrice con Lepage del copione dalle tinte minimaliste) per poi passare ad  Henri Chassé ed alla convincente Tai Wei Foo, che è qui anche danzatrice e coreografa.
Gli applausi calorosi del pubblico hanno comunque salutato lo spettacolo, e quindi l’inizio di questa quarta edizione del Festival. (nella foto  di Flaviana Frascogna, a lato, il cast comprendente i tre interpreti e gli innumerevoli tecnici, durante i saluti finali)