Quest’anno ricorre il terzo centenario della nascita di Giovanni Battista Pergolesi, e numerose sono pertanto le iniziative vòlte a ricordare la figura del geniale compositore, marchigiano di nascita ma napoletano per formazione e per attività. Diversi convegni in Italia e all’estero stanno portando nuovi contributi storici e critici alla conoscenza del personaggio, mentre nella città natale, Iesi, un importante festival mette in scena le opere teatrali sia serie che comiche che egli licenziò nel brevissimo arco della sua esistenza (morì a Pozzuoli appena ventiseienne).
Anche il San Carlo di Napoli ha deciso di portare il proprio contributo alle celebrazioni con il progetto Aspettando Pergolesi, e qui si riferisce dell’ultimo appuntamento di tale rassegna: il concerto Napoli e Pergolesi.
La scelta degli organizzatori è caduta sulla creazione più famosa del maestro, lo Stabat mater, che ha occupato da solo la seconda parte della stringata soirée. A interpretarlo sono state il soprano Maria Rosaria Lopalco e il contralto Rosa Bove, giovani cantanti di buon livello che tuttavia non hanno sempre centrato la misura stilistica della straordinaria composizione mariana; anche i tempi richiesti da Pietro Mianiti, alla guida degli orchestrali sancarliani, sono apparsi poco convincenti.
La prima parte ha offerto l’esecuzione di quattro brani di altrettanti autori partenopei: Domenico Cimarosa, Francesco Feo, Nicola Porpora e Gaetano Manna. Ascoltare rarità napoletane del XVIII secolo è sempre un’esperienza interessante, oltre che un piacere estetico. In questo caso, tuttavia, non si riesce a intuire il criterio che ha portato a selezionare e ad accostare - fra loro e allo Stabat - due sinfonie da oratorî (Il sacrificio di Abramo di Cimarosa e San Francesco di Sales di Feo), un’ouverture operistica (dal Trionfo di Camilla di Porpora) e una composizione liturgica nata probabilmente come saggio scolastico (il Quoniam tu solus sanctus di Manna, intonato da Rosa Bove). Priva di un benché minimo filo conduttore, la successione è apparsa come l’esito casuale e raccogliticcio di un’ideazione frettolosa e di una programmazione a basso costo.
Gli spettatori hanno avuto tuttavia la possibilità di ‘scoprire’ la smagliante scrittura di Francesco Feo: la sua sinfonia si è rivelata un piccolo gioiello, con le trombe squillanti dei movimenti estremi e la bella elegia del flauto nel tempo centrale.