Ottima esecuzione del capolavoro K626 di Mozart, nella Basilica napoletana di San Giovanni Maggiore.
Fu una proposta economica assai generosa (50 ducati) a convincere un Mozart sempre poco gratificato dal punto di vista economico, a lavorare sul Requiem commissionatogli dal Conte Franz von Walsegg zu Stuppach, aspirante compositore ed esperto millantatore di scritture non sue, il quale in occasione dell'anniversario della morte della moglie (14 febbraio 1791) decise per una celebrazione in grande stile, per la quale penso appunto al sommo salisburghese. I pressanti impegni di quell'anno tuttavia, e forse anche il fastidio al pensiero di quella proposta, non lo fecero portare alacremente il lavoro a termine come al suo solito, tanto che il Requiem (K626) fu completato soltanto fino ad una bozza del secondo brano (Introitus, Kyrie e l'inizio del Dies irae, oltre ad appunti sparsi fino all'Hostias), poi abbandonato ed infine ereditato dalla moglie Constanze Weber, per essere quindi sviluppato ad opera di Franz Xaver Süssmayer, suo allievo ed amico di famiglia.
Eppure, tanta procellosa ed incerta nascita non ha impedito a quest'opera di diventare uno dei più grandi veicoli della fama di Mozart, già subito dopo la sua scomparsa, come dimostra l'alto numero di esecuzioni in Europa nell'ultimo decennio del '700. La mano mozartiana agisce su una materia che, pur trattandosi di una missa pro defunctis, si esalta per la freschezza armonica e la continua ricerca ed innovazione stilistica, in una mescolanza di stili che viene sottolineata ancor più dalle diverse mani che sono intervenute, e che si ispira prevalentemente ad una base di polifonie barocche con un uso calibrato ed asciutto dei solisti e con pochi virtuosismi strumentali. Una via della ricerca che appare immediatamente palese nell'Introitus e nel Kyrie (unico segmento del tutto autografo), con la originalissima atmosfera sonora creata dalla strumentazione in cui gli unici legni sono corni di bassetto e fagotti che allargano la sonorità a timbri quasi spettrali, incrociandosi agli archi pizzicati.
La versione ascoltata nell'esecuzione della Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli ha visto come protagonisti quattro splendidi solisti: la grazia e la delicatezza del soprano Maria Grazia Schiavo, l'imponenza del basso Filippo Morace, la precisione del contralto Rosa Bove ed il raffinato tenore Alessandro Cari, oltre ad una conduzione egregia da parte del giovanissimo ed a tratti anche acerbo Francesco Aliberti, che si contraddistingue per la sua direzione spontanea e carismatica. L'apertura del kyrie e la nota lacrimosa sono state dirette con entusiasmo e riproposte in applauditi e graditi bis. Buono anche l'uso dell'ensemble vocale di Antonio Spagnolo, e splendida la cornice della Basilica di San Giovanni Maggiore, più per la vista tuttavia, quanto non invece per l'acustica (il che non è purtroppo una novità, nonostante l'idea di collocare il palco nella direzione opposta a quella tradizionale, alle spalle dell'ingresso), che non ha certo reso giustizia alla bravura del coro, dei solisti e dei musicisti.