Teatro

Un 'tutto Bach' per l'Accademia Bizantina

Un 'tutto Bach' per l'Accademia Bizantina

Al Teatro Comunale di Treviso Ottavio Dantone e l'Accademia Bizantina presentano quattro dei concerti per clavicembalo e archi di Johann Sebastian Bach.

Non amo i concerti il cui programma presenta un eterogeneo pout-pourri di composizioni musicali, senza né capo né coda. Sola eccezione il recital di un cantante, che però se mostra il coraggio di presentare una serata interamente verdiana, oppure tutta dedicata alla chanson d'autore – cito i primi due esempi che mi vengono in mente - riscuote il mio vivo apprezzamento. 
Dunque, sono grato ad Ottavio Dantone per aver presentato, insieme ad alcuni solisti dell' Accademia Bizantina, una serata non solo interamente dedicata a Johann Sebastian Bach, ma in più dal carattere estremamente monotematico prevedendo l'esecuzione di quattro dei concerti per clavicembalo ed archi da lui composti all'epoca della guida del Collegium Musicum di Lipsia. Una carica rivestita per un periodo abbastanza lungo - cioè dal 1729 al 1741, salvo una pausa di due anni dal 1737 al 1739 - e foriera di buone gratificazioni artistiche. Il Collegium gli diede infatti la possibilità di alternare la composizione di musica liturgica per la Thomasschule (impegno assolto a volte come dovere d'ufficio) con la libera creazione di lavori strumentali destinati alla sua piccola orchestra di appassionati. Magari rivisitando pezzi già risalenti al felice e fecondo soggiorno a Cöthen, con la trascrizione della parte solistica per altri strumenti. Purtroppo non tutto il frutto di quella sua operosità, come ben si sa, è pervenuto ai giorni nostri.

Fra le composizioni del secondo tipo – quelle cioè derivate da trascrizioni - figurano i quattro concerti per cembalo ed archi offerti dall'Accademia Bizantina nella sala del Teatro Comunale di Treviso. La linea melodica dell'ampio Concerto in mi maggiore BWV 1053 doveva in origine toccare ad uno strumento a fiato, forse oboe o flauto; le sue pagine hanno trovato ospitalità in due cantate del 1726 - la  BWV 49 e la BWV 169 - come sinfonie d'apertura per entrambe, e quale materiale tematico per un'aria della prima. Il breve Concerto il la maggiore BWV 1055 è tra i meno frequentati di questo catalogo, e discende con buona probabilità da un originale per oboe d'amore creato nel 1721 per la corte signorile di Gera. Il Concerto in fa minore BWV 1056 trova origine in un Concerto per violino in sol minore del 1719; il suo movimento centrale è uno struggente Largo – un pensoso procedere della cembalo sostenuto dal pizzicato degli archi, pagina senza dubbio tra le più espressive di tutto il secondo barocco – che è stata parodiata nella sinfonia della cantata «Ich steh' mit einem Fuss im Grabe» BWV 156 del 1729, dove la linea melodica viene affidata alla struggente voce dell'oboe.

Conclude il programma l'imponente ed articolato Concerto in re minore BWV 1052, il più eseguito tra questo genere di creazioni bachiane. E' una partitura complessa ed elaborata, estroversa nell'aspetto nettamente virtuosistico, e pensata in un primo tempo per violino, versione della quale si tentata la ricostruzione in assenza dell'originale. Una volta trasportata la linea solistica sulla tastiera, il compito del clavicembalista assume un carattere tecnicamente ancor più arduo e brillante, capace di offrire - specialmente nei due movimenti estremi - ampie possibilità virtuosistiche ed espressive. Anche in questo caso ritroviamo trasferimenti in composizioni liturgiche: i primi due movimenti confluirono nella cantata BWV 146, ed il terzo nella cantata BWV 188, entrambe all'incirca del 1728.

Che Dantone e l'Accademia Bizantina siano ormai da collocare tra i migliori interpreti dell'arte del Genio di Eisenach  (e non solo) già lo può testimoniare la strepitosa incisione Decca dell'integrale delle Sinfonie, cioè delle 19 pagine di introduzione alle cantate a noi pervenute. In questa bella serata trevigiana abbiamo ritrovato – seppure con un organico più sobrio - la stessa leggerezza di lettura, la stessa eleganza esecutiva, la stessa scorrevolezza dialettica fra solo e tutti. Requisiti essenziali in pagine come queste, che palesano ad ogni passo l'influenza della musica strumentale italiana – Vivaldi in primis – scoperta da Bach alla corte di Weimar. Le mani di Dantone trovano sulla tastiera inesausta energia, varietà di colori, sempre nuovi accenti espressivi; il quintetto d'archi che troviamo accanto a lui – Stefano Rossi e Ana Liz Ojeda ai violini, Diego Mecca alla viola, Mauro Valli al violoncello, Nicola Dal Maso al contrabbasso – lo sostiene ed accompagna con una condotta strumentale impeccabile.