Teatro

Una Yerma moderna e attuale

Una Yerma moderna e attuale

Yerma è la seconda delle tre grandi tragedie rurali scritte da Lorca tra il 1933 e il 1936 incentrata sulla figura di una giovane sposa che non è ancora rimasta incinta.
Il suo nome, che dà il titolo al testo, in spagnolo è anche un aggettivo che significa deserto, arido e dunque sterile. Yerma viene descritta come un'anima in pena che non sa trovare modo di autoaffermarsi se non nella pienezza di una maternità che le è negata cui Lorca contrappone lo scarso interesse alla paternità del marito Juan, più interessato a relazionarsi con una compagna, al rientro dai lavori nei campi, che con la madre dei suoi eventuali figli.

L'aridità del titolo si riscontra anche nel testo il cui racconto si fa via via sempre più astratto e asciutto mentre procede verso il suo finale, quando Yerma si staglia come incarnazione dell'idea stessa della sterilità della quale parlano le numerose donne che popolano il testo.

Non già le figure familiari (i genitori della coppia non vengono mai mostrati in scena ad eccezione delle due sorelle nubili di Juan, che non hanno nemmeno una battuta), ma le compaesane di Yerma, amiche e non, tutte feconde, tutte madri, che hanno nei confronti della maternità una atteggiamento vario: chi vi vede il naturale destino femminile, chi la compiutezza del matrimonio (tanto da augurarsi di essere ancora solo fidanzate), chi un obbligo ineludibile che assume i connotati della condanna, oscillando continuamente tra tra un dover essere e un poter essere che sembra l'unica cifra di autoaffermazione di un femminile altrimenti represso.

Il testo abbraccia un arco temporale crescente, di atto in atto  (dai due anni e 20 giorni nel primo, agli oltre cinque del secondo)  nell'allargarsi del quale Yerma sembra sempre più consegnata a una vita inutile, perchè non è madre.

Il maschilismo patriarcale della società rurale in cui Lorca fa vivere la sua Yerma ascrive da un lato la colpa di questa sterilità alla donna, per il poco amore verso il marito o per la scarsa convinzione a voler diventare mamma, ma dall'altro insinua una scarsa passionalità del marito, di cui Yerma stessa si lamenta.

Accanto al peso di una maternità che tarda ad arrivare si avverte palpabile nel testo il ludibrio del paese non solo quello che si fa scherno di Yerma che non sa diventare madre ma anche quello che pesa sul marito, considerato un amante tiepido. Un marito talmente preoccupato di quel che pensa la gente da pretendere che la moglie resti sempre in casa, dove una donna sposata si conviene che sia.

Antonio Nobili affronta il testo, intervenendo sensibilmente sulle parti liriche ridotte al minimo, trasposte nell'atmosfera di una regia attenta a evocare emozioni e ascendenze di una Spagna rurale e arcaica dando corpo concreto al ludibrio del paese, alle voci pettegole che giudicano e incolpano Yerma, introducendo nella messinscena i personaggi di tre psicologhe che osservano Yerma quasi fosse un animale da studiare cercando di catalogarne sentimenti e moti d'animo in base alle teorie della psicanalista austriaca discepola di Freud Helene Deustch i cui lavori sull'identità e sullo  sviluppo psicosessuale femminile risentono dello stesso maschilismo patriarcale del suo maestro.

Maschilismo  che Nobili indica, con intelligenza ed eleganza registiche, essere lo stesso dell'orizzonte etico rurale della tragedia facendo interpretare alle attrici che incarnano le tre psicologhe anche i vari personaggi femminili del testo mostrando come la superstizione rurale indicata da Lorca sia, mutatis mutandis, quella a-scientifica stracolma di pregiudizi delle teorie di Deutsch secondo la quale il desiderio femminile di maternità è negativo quando si basa su un bisogno narcisistico perchè il vero “spirito materno” si basa su una emozione altruistica. Nella sua casistica sulla sterilità isterica Deutsch propone anche un tipo di madre materna che di solito ha un partner-bambino che cura come un figlio che Nobili ha modo di ricollegare al testo lorchiano quando nel finale, subito dopo avere strangolato il marito che le ha ribadito che lui di bambini proprio non ne vuole sapere, Yerma dice alla folla che ha assistito al suo omicidio di avere ucciso il suo bambino.

Lungi dal trovare nelle ecolalie di Deutsch una spiegazione al comportamento di Yerma Nobili dà e presenta lo stesso pregiudizio con vesti nuove spostando l'attenzione dalla pressione sociale  a quella psicanalitica.

Poco importa che per Nobili Yerma diventi una folle pluriomicida istigata dalle tre psicologhe, mentre in Lorca l'omicidio si staglia contro un orizzonte astratto come pura rivendicazione di un obbligo morale interiorizzato come bisogno universale di maternità: il monito e l'accusa sugli effetti della pressione sociale, della discriminazione e del maschilismo patriarcale così attualizzati sono di una efficacia irresistibile.

Se pensiamo poi al conflitto interiore che Lorca doveva vivere in una società omonegativa come quella spagnola degli anni 30 che lo costringeva a nascondere la propria omosessualità perchè non conforme a un dover essere maschile che non contemplava certo l'omoerotismo come possibilità, il testo acquista una deriva di senso verso ben altro tipo di angoscia che dà alla tragedia un sottotesto che assorda per il suo insistente silenzio, che giustamente Nobili lascia tacere.

Anche per questa messinscena Nobili svecchia molto l'impianto drammaturgico originale dove i cambi di luogo e le continue entrate e uscite dei personaggi sono semplificate da una regia che fa avvenire tutto nello stesso spazio polifunzionale, al contempo concreto e astratto, connotato da pochi elementi scenografici (un divano e qualche sedia e il tavolo con la macchina da scrivere delle tre psicologhe) proprio per restituire anche scenograficamente quell'aridità argomento precipuo del testo.

Una messinscena che chiede alle sue interpreti e ai suoi interpreti un lavoro notevole e intenso che tutte e tutti conducono in porto con coerenza secondo le proprie possibilità, con una esecuzione  solo di qualche misura meno incisiva del precedente Nozze di sangue.

Una menzione a parte meritano Martina Mastroianni che sa restituirci una Yerma al contempo moderna e calata nel suo periodo storico; Alessio Chiodini che si veste di indovinata tenerezza virile con la quale riesce a dare credibilità a un personaggio nel testo non sempre risolto e Sara Signoretti nel ruolo di Maria che sa imporre il suo personaggio senza lasciarsi fagocitare dalla presenza ossessiva di Yerma (per la quale Lorca sembra avere allestito un monologo) anche solo grazie a una notevole presenza scenica la stessa che spicca icastica in Alessia De Martino e Martina Milani le due ragazze che interpretano le sorelle nubili di Juan.

Si replica lunedì prossimo al Sala Uno di Roma. Si consiglia di non mancare.