Per il suo ritorno sulle scene, Emma Dante si ritaglia il ruolo dell'intervistatrice (neanche tanto impossibile) con il Ciclope Polifemo. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, è andato in scena dal 19 al 20 giugno all'interno della programmazione del Festival delle Colline Torinesi.
Emma Dante ribalta le convenzioni storico-tradizionali sullo sbarco di Odisseo nella terra dei Ciclopi. E immagina di intervistare – in un dialogo neanche tanto impossibile – Polifemo, il quale, a prima vista, può certamente atterrire, ma presto si rivela loquace e perfino capace di ironia, nonostante sia ossessionato dall’ingombrante presenza – nella sua mente senza cuore – di Nessuno. Ovvero, quell’Odisseo che, in nome di quelle “civilli convenzioni basate sul senso dell’ospitalità”, lo ha reso cieco, trasformandolo in “una enorme montagna di dura pietra".
Un incontro decisamente spiazzante. Il primo elemento che colpisce è sentire parlare Polifemo (Salvatore D’Onofrio) in dialetto napoletano. E allora via tutte le convenzioni, in primo luogo quelle geografiche, per cui il vulcano di riferimento non è più l’Etna, bensì il Vesuvio. Carmine Maringola dissacra letteralmente la figura di Odisseo, rendendolo – seppur comunque scaltro – vanesio e, allo stesso tempo, vittima e sciupafemmine nei confronti delle donne che ha incontrato nel suo peregrinare. Lascia senza fiato il suo modo di descrivere l’amore per Penelope, nonostante la lontananza durata oltre vent’anni… Tra i due, Emma Dante, per la quale questa “intervista impossibile” si rivela lo spunto per affrontare temi importanti come il significato del Teatro per un teatrante o l’uso del dialetto nella drammaturgia.
Le musiche, evocative rispetto al senso dello spettacolo, sono eseguite dal vivo da Serena Ganci. Le luci di Cristian Zucaro lasciano un’impressione particolarmente positiva sull’allestimento nel suo complesso. Sulla scena anche tre danzatrici (Federica Aloisio, Giuso Vicari e Viola Carinci), che, come un Coro da tragedia greca, simboleggiano una fragilità tipicamente umana. Su cinquanta minuti di spettacolo, i primi dieci sono forse focalizzati troppo sul movimento di queste danzatrici che, come “burattini”, preparano l’arrivo dell’intervistatrice e introducono Polifemo e la condizione di eterna solitudine alla quale si è condannato.