Teatro

Uno spazio intimo per il compleanno del Bardo

Uno spazio intimo per il compleanno del Bardo

Dal 21 al 25 di maggio, al Teatro Sancarluccio di Napoli, si è svolta la rassegna teatrale “Tutto il mondo è palcoscenico” dedicata a William Shakespeare che compie 450 fulgidi anni. La rassegna, ideata e curata dal giornalista e critico teatrale Gianmarco Cesario, oltre a celebrare la longevità poietica del bardo inglese, si è posta anche l’obiettivo di promuovere il lavoro di una piccola parte di quello stuolo di artisti talentuosi, più o meno giovani, che popolano il sottobosco teatrale italiano.

Cinque spettacoli dedicati al genio di Stratford-upon-Avon, cinque inedite performance che rileggono personaggi e tematiche dell’autore elisabettiano. Shakespeare is love del regista Fabio Pisano (un giovanissimo, classe ‘86) si presenta come un pastiche dedicato alla tematica dell’amore nelle opere del drammaturgo inglese. La scena è spoglia, fatti salvi un leggio sul lato sinistro del proscenio e un’arpa su quello destro. I frammenti dialogici e monologici delle tragedie sono alternati ai sonetti d’amore e il suono avvolgente dell’arpa fa da squisita colonna sonora. Una voce fuori campo apre lo spettacolo e vivifica i corpi degli attori che si presentano privi di vita, accasciati sull’impiantito del palco; il tutto è molto evocativo: i fantasmi di Amleto, Romeo, Iago, Lady Macbeth e Mercuzio si avvicendano sulla scena attraverso i corpi degli attori che il più delle volte con misurata bravura se ne lasciano possedere. Una menzione particolare merita il Mercuzio di Titti Nuzzolese, che veste in maniera disinvolta i panni di questo personaggio tutt’altro che semplice da interpretare, e nel suo monologo della regina Mab segue con il corpo e con la voce le meravigliose evoluzioni della dispettosa fata. Per il resto la riflessione sulla tematica amorosa si smarrisce nell’inevitabile gorgo centrifugo dei frammenti poetici, gli attori lasciati da soli a inseguire i disiecta membra del bardo non riescono a frenare la caduta del lavoro nel mero centone. A un tratto ci accorgiamo che Macbeth parla in siciliano, ci siamo persi, ci avvolge l’orribile sospetto che si vogliano associare i delitti del futuro re di Scozia a quelli della mafia, passons!

Il secondo lavoro in rassegna, Ofelia e le altre di e con Cinzia Mirabella, sarebbe dovuta essere una riflessione sulle figure femminili in Shakespeare e, conseguentemente, sul problema del rapporto tra mascolino e femminino nel teatro elisabettiano e non solo. Ma non si è visto nulla di tutto questo: due attrici in scena, due leggii, molte caricature, una accelerata sul pedale del macchiettistico. E Giulietta che parla in romanesco a strapparci qualche innocuo sorriso. Come il precedente, anche questo è uno spettacolo senza un centro, né tantomeno si può parlare di un acentrico caos consapevole. Una sfilza di gag, qualche tentativo di recupero ‘alto’ dell’Otello e qualche nota di dotta filologia.

Francischiello - un Amleto re di Napoli di e con Carmine Borrino è il terzo e più maturo lavoro presente nella rassegna e fonde con grande perizia il teatro di narrazione con quello mimetico. Il lavoro nasce da uno studio sul personaggio storico di Francesco II di Borbone, soprattutto in relazione agli eventi legati al crollo del regno delle due Sicilie sotto la pressione degli intrighi di Vittorio Emanuele e dell’avanzata dei mille. Borrino individua, mettendoli suggestivamente in luce, i punti di contatto tra la figura di Francesco II e quella di Amleto: il rapporto con l’amata figura paterna, il legame tra la follia simulata del principe danese e il tendenzioso ritratto di sciocco e ridicolo che certa storiografia post-risorgimentale ci ha trasmesso del giovane sovrano borbonico. I due principi si specchiano l’uno nell’altro attraverso il tempo e lo spazio. Spiati, vilipesi, minacciati da una realtà corrotta e ostile, consapevoli del grado di abbrutimento a cui può giungere l’animo umano per la brama di potere, affrontano entrambi il proprio destino con commovente abbandono e farneticante saviezza. Unico attore in scena, Borrino agisce lo spazio teatrale con semplicità e disinvoltura, e qualche concessione alla battuta facile per i fruitori di bocca buona non pregiudica la compattezza drammaturgia del suo lavoro. Da segnalare il momento in cui Francesco/Amleto a colloquio con i machiavellici consiglieri di stato, vestendo la maschera di una follia che affonda le proprie radici in Felice Sciosciammocca e Pappagone, solleva la crosta di ipocrisia di cui i suoi interlocutori sono ammantati e getta nuova luce su eventi della storia del sud troppo spesso condizionati da visioni semplicistiche e tendenziose.

Quarto spettacolo in rassegna è l’Othello di Andrea Cioffi. Il coraggioso, e a tratti ingenuo tentativo di trasformare la tragica vicenda del moro in un canovaccio da commedia dell’arte, con tanto di zanni e servette, in parte diverte il pubblico ma difetta di compattezza. I ritorni inevitabili alla vicenda tradizionale appesantiscono l’ordito drammaturgico e allentano la presa del dramma sugli astanti.

Ultimo spettacolo in cartellone è stato Preludio a la tragedia di Re Riccardo III di William Shakespeare, lo studio sul Riccardo III di Riccardo De Luca. Si tratta di un lavoro pretenzioso con dei notevoli squilibri formali che ne rendono faticosa e a tratti noiosa la fruizione. Il discorso sul personaggio di Riccardo, la disamina delle sue azioni, i chiarimenti sulla situazione storica dell’Inghilterra ai tempi in cui si svolge il dramma, la parte diremmo ‘epica’, risulta poco incisiva e leggermente banalizzata; il leggio che ne circoscrive la dimensione poco si incastra in sostanza con la messa in scena di interi passi del Riccardo III. Roberto Azzurro restituisce un Riccardo vivace e a tratti convincente, anche se troppo spesso abbandonato a isterici accessi e a involuzioni macchiettistiche tanto da far pensare più all’esagitato Adenoid Hynkel che alla sadica e spietata creatura shakespeariana.

Il Sancarluccio è uno spazio suggestivo, adatto ad evocare e accogliere i fantasmi del Bardo. A conti fatti, e fatta salva forse una certa qual fretta nella scelta del cartellone che troppo spesso sacrifica alla squisita cornice i singoli elementi che ne compongono la tela, la rassegna costituisce in ogni caso un discreto esempio di come sia possibile conciliare cultura e spettacolo, passione per la scena e studio dei classici.