Valencia, Palau de les Arts, «Faust» di Charles Gounod
MEFISTOFELE IMPERA A TEATRO
Il tema di Faust ha ispirato numerosi musicisti ed in questo periodo in Spagna svariate sono le proposte a lui dedicate: il Teatro Real di Madrid programma un ciclo con l’esecuzione di una prima assoluta (Faust – Bal), della Damnation di Berlioz e delle Scene dal Faust di Schumann (come recentemente anche al regio di Parma, vedi le recensioni nel sito), mentre al Palau de Les Arts di Valencia è in scena il Faust di Gounod nell’allestimento di David Mc Vicar per il Covent Garden.
Il dramma di Gounod è un’opéra–lyrique rispondente al gusto del pubblico borghese dell’epoca, una “semplificazione” teatrale del mito dal linguaggio musicale convenzionale e curato con belle melodie e sonorità pastose. Pur prendendo spunto da Goethe il compositore si focalizza sulla vicenda amorosa (non a caso in area tedesca l’opera è anche chiamata “Margarete”), riducendone le implicazioni filosofiche e metafisiche: il Faust di Gounod vende l’anima per riavere giovinezza e soddisfazione sensuale, non certo come l’eroe prometeico goethiano per continuare ad aspirare al sapere e al superamento del limite.
Per caratterizzare quest’opera come prodotto culturale di “consumo” di una data epoca Mc Vicar traspone la vicenda dalla Germania medievale alla Parigi del Secondo Impero, contemporanea di Gounod, di cui restituisce con immediatezza l’atmosfera borghese edonista e pruriginosa come quella dei romanzi di Zola. Il regista adotta l’espediente del “teatro nel teatro”, di cui sfrutta con intelligenza i vari livelli narrativi in una rappresentazione in cui si confondono realtà e immaginazione. Il teatro è l’impero di Mefistofele, impresario illusionista e satanico che dà vita ai sogni repressi del vecchio Faust trasformato sotto i nostri occhi in aitante giovane con l’aiuto di un camerino da trucco itinerante ricavato in un baule. Teatro e realtà, sacro e profano, si ritrovano nella suggestiva scena di Charles Edwards dove uno spaccato di un teatro d’opera si contrappone ad architetture ecclesiastiche o al catafalco con crocifisso che galleggia sul palcoscenico come una zattera alla deriva. Lo sfondo scuro ospita le fantasmagorie di Mefistofele, come il divertente “Cabaret l’Enfer“, dove ballano sguaiate ballerine e Margherita è una cameriera dimessa, oppure rappresenta scorci della città “popolare”, palazzi dagli intonaci screpolati visti dal retro e la camera da letto piccolo-borghese intravista dalla finestra del balcone.
Secondo il suo stile il regista introduce elementi di trasgressione circondando Mefistofele di figure demoniache e lascive (prostitute, acrobati e ballerini seminudi) che ne amplificano l’ambiguità. Piuttosto blasfema la scena dello scontro con Valentin, in cui il grande crocifisso si spezza crollando al suolo consentendo a Mefistofele di passarsi sulla bocca, come fosse un rossetto, il sangue della piaga di Cristo. Lo spettacolo trova la sua apoteosi nella scena della Notte di Walpurgis, autentico shock teatrale, introdotta dalla vista di una sala da teatro proiettata nel buio. Coni di luce e fumo svelano bellezze cortigiane con Mefistofele travestito da donna, ingioiellato e scollacciato, che guida il baccanale a colpi di ventaglio. Faust assiste passivamente allo spettacolo, un balletto classico (buona intuizione di Mc Vicar che, grazie al secondo piano narrativo, rende coerente l’inserimento del balletto) che diventa una parodia feroce di Giselle (incinta come Margherita) per poi degenerare in un’orgia collettiva.
Nel ruolo di Faust Vittorio Grigolo è assolutamente credibile per disinvoltura scenica e giovanile baldanza, ma anche per la voce naturale e lirica dall’emissione morbida adatta all’abbandono estatico. Convincente la sua “Salut demeure chaste et pure”, oltre che per l’insidioso acuto, per la capacità di espansione e slancio.
Erwin Schrott è un Mefistofele maledettamente attraente, elegante anche nella trivialità, anima la farsa con esprit, indiscusso protagonista di uno show che gli sembra cucito addosso. La voce di basso baritono potrebbe sembrare non sufficientemente autorevole per il ruolo (per quanto la tradizione lyrique francese preveda bassi “leggeri”) ma proprio per le sue qualità liriche, morbidezza e varietà di accenti, è adatta per il personaggio insinuante e fatuo voluto da Mc Vicar e la splendida invocazione alla notte si tinge di sensualità.
Alexia Voulgaridou, che si è alternata nel ruolo di Margherita con Natalia Kovalova in sostituzione di Cristina Gallardo Domàs, con voce controllata e gradevole dona pieno risalto alla ballata e impeccabili fioriture all’aria dei gioielli, meno approfondita l’evoluzione del personaggio di cui non sono valorizzati il dolore e la maturità sentimentale.
Ekaterina Gubanova ha voce scura e corposa, ma non sufficientemente lirica per il delicato Siebel. Buona prova, nonostante l’annunciata indisposizione, per Gabriele Viviani nel ruolo di Valentin. Annie Vavrille è una Marta avvenente, ma vocalmente debole, mentre Vittorio Prato è un apprezzabile Wagner.
Frédéric Chaslin (chiamato a sostituire Lorin Maazel ) convince nei pezzi sinfonici dalle belle sonorità e tempi indugianti e ispirati, ma privilegiando intensità e drammaticità scade nel fragore compromettendo l’equilibrio fra voci e strumentale.
Più precisa la prova del coro della Generalitat Valenciana, che ha dimostrato sotto la guida di Francesc Perales una notevole crescita artistica.
Teatro esaurito, grandissimo successo di pubblico per una produzione vincente che unisce con intelligenza tradizione e provocazione.
Visto a Valencia, Palau de les Arts, il 14 Febbraio 2009
Ilaria Bellini
Teatro