Viviani su una spiaggia. Fa sempre un certo effetto immaginare quella certa Napoli che stava non sulla cartolina, ma intorno ed alle spalle. Quella di quando la calata borghese a S. Lucia nascose la vista del mare al popolo luciano. Quella di quando il Risanamento, annunciato come risolutore del degrado di alcune zone della città, oltre a stravolgere il volto della maggior parte dei quartieri storici della città, lasciò immutati tutti i problemi appena svoltato l'angolo.
E questo popolo appunto con Viviani risorge sempre, se ne sente la voce in ogni epoca, e nelle stesse opere cui si ispira questo spettacolo antologico di versi, prosa e musica tratti dai lavori dello stabiese.
Al molo Cappellini, 'e feste a mmare conserva però ben poco dello spirito di don Raffaele, riducendosi in larga parte a teatro di rivista, a volte arraffazzonato nei tempi e soprattutto nei collegamenti fra le sue parti, il cui trait d'union è costruito fra spunti vari presi da canzoni e sketch.
Il percorso infatti è accompagnato dai personaggi di “Napoli in frac”, richiamato anche più volte attraverso l'anno citato dal presentatore (un inedito ma troppo spaesato Gianni Simioli): il 1926, con Agostino Torre, avvocato, che accompagna un collega bolognese alla scoperta delle bellezze partenopee.
Ciò che stride, è anzitutto il fatto di aver fatto rientrare i pezzi scelti, edulcorandone la potenzialità, in una versione da cartolina che probabilmente è l'opposto del senso originario; averli incastonati in un angolo di paradiso come è la spiaggia antistante Nisida ed il mare dal quale vengono le due barchette da cui si ascoltano buone interpretazioni di canzoni napoletane, da un lato ha il merito di aver costruito un gioiello scenico che fa pensare alle attrattive che questa città non riesce mai a definire e promuovere compiutamente, ma dall'altro aumenta il distacco con un senso eccessivo del folklore, ricercato a discapito di altre scelte che ne avrebbero esaltato il significato.
Nessuna traccia (forse sarebbe dovuta esserci in una interazione col pubblico che è stata appena e freddamente accennata) dell'ironia tagliente o della denuncia sociale, tutto riversato quasi esclusivamente, anche con cuciture forzate, sulla gara di canzoni, e condito da caccavelle e strumenti affidati al pubblico per fare "ammuina" al momento degli applausi.
Le prove singole, in un canovaccio in cui bisogna cantare, suonare, recitare e ballare, insomma saper fare un po' di tutto, hanno poche chances di emergere; fra esse ricordiamo Antonello Cossia, Salvatore Cantalupo ed Antonella Monetti, ricordando che per l'occasione sono stati impiegati anche cinque ragazzi dell'Istituto Penale per Minori di Nisida, e trovando nel disegno delle luci di Paco Summonte, anche grazie alle caratteristiche proprie della location, uno dei risultati più ragguardevoli della serata.
Teatro