Il Torino Fringe Festival potrà accadere solo con una spinta dal basso. Avrà bisogno, allo stesso modo, di confrontarsi con le realtà che, nonostante esistano, non vengono percepite dalle istituzioni come possibili luoghi di interesse culturale, artistico e sociale. Il Festival considera la non percezione essere sorella maggiore della marginalità. L'artista, inteso come modellatore e ricreatore della realtà, avrà a disposizione dieci giorni in un luogo messo a disposizione dal Festival. L'artista non verrà buttato da qualche parte come fosse un pacchetto, verrà, al contrario, inserito in un'ambiente che offra, a lui stesso e al suo lavoro, la possibilità di collidere con altre realtà, e, ovviamente, con il pubblico. Oltre la programmazione degli spettacoli verranno proposte conferenze, seminari, workshop e grandi colazioni per incontrarsi. Parlare, conoscersi, sussurrarsi dove si stia andando e perché. Affinché il lavoro possa esistere sarà necessario, oltre che doveroso, creare degli spazi in cui questo possa manifestarsi. Che si provi a dire ad un meccanico di riparare le auto in camera sua. Quanto quest'affermazione metaforica è distante dalla realtà che vede gli artisti privi di spazi di produzione, di concreto dialogo con produttori e direttori artistici? Il Torino Fringe Festival contatterà tutti gli operatori culturali presenti sul territorio nazionale. Stenderà poi una lista e la renderà pubblica. Il non pervenuto o il disdegno di rispondere ad una mail di invito verranno resi pubblici. Disegnerà un'immensa tabella. In modo che poi non ci siano scuse. In modo che chi faccia bene il suo lavoro venga identificato, gratificato e, possibilmente, emulato. Creeremo così uno squarcio nella realtà. Una realtà in cui a teatro ci a chi fa teatro, in cui chi fa l'artista non fa il politico a tempo pieno. Una realtà in cui si possano ascoltare delle proposte e, magari, scommetterci.