Difficilmente m'è capitato. ora che ricordo mai, di scrivere la biografia o cos'altro su persone esistenti o esistite; è difficile farlo per uno come me abituato a scrivere invece su personaggi nati dalla propria mente che non hanno ne tempo ne dimora, per loro mi trovo ad essere tutto: "madre" in quanto li ho partoriti, padre per aver indicato loro la giusta via o meglio quella a me più congeniale; credo quindi di non essere proprio la persona adatta a commentare l'Io di chi mi è, come in questo caso, molto vicino; cercherò di farlo con parole molto semplici, e con l'umiltà che ha questo grande amico, cavie di questo sperimentarmi biografo. Quando incontrai per la prima volta Michele Falzone, (tra l'altro nell' occasione di un mio lavoro teatrale) ho capito subito, oltre alle grandi doti umanitarie di cui egli n'è portatore, di trovarmi davanti un ragazzo molto estroso nell'arte della teatralità, ricco di quell'humus teatrale, di quel continuo sperimentarsi. Ma quel che più mi ha colpito, se devo proprio esser sincero, è stata la sua grande padronanza di regia, quel sapere affrontare i rischi che di solito si corrono a mettere in scena lavori nuovi e specie di autori come me ancora non tanto noti al pubblico, per fare un esempio potrei citarvi tantissimi registi teatrali dai nomi molto illustri che continuano a tritare e ritritare sempre gli stessi lavori fatti e ripetuti per lunghi decenni (credetemi è molto comodo fare quel tipo di regia); Michele, no, riesce a divertirsi sperimentandosi con i personaggi stessi in strade nuove, e, anche se dovesse incontrare vicoli ciechi, sono certo ne uscirebbe fuori sempre indenne. Il gruppo da lui costituito "FENAPI", nasce nel 2003 e subito l'anno dopo mettono in scena il loro primo lavoro "Sta arrivanti u ziu d'America", il mio. Mi trovavo in sala per l'invito rivoltomi dallo stesso Michele che, oltre a regista, copriva il ruolo di primo attore; il Teatro ricordo era pienissimo, la gente, molta stava persino all'impiedi, io avevo il cuore piccolo non conoscendo nessuno della compagnia, tanto che mi posi la domanda: "Ma giusto col mio lavoro questi dovevano iniziare?" Mi son dovuto ricredere. E' stato un grandissimo successo, tanto che la conferma arriva subito, al prossimo lavoro de "A jittatùra" molte persone se ne son dovute ritornare a casa per non aver trovato spazio dentro il Teatro, e non è stato certo perché era un'altra delle mie commedie ma bensì per la loro grande bravura nel ruolo coperto da ogni attore, di vivere così bene la realtà dei personaggi tanto d'averla fatta propria, riuscendo a coinvolgere così bene il pubblico, da fargli dimenticare persino di trovarsi in quel momento a teatro. Se mai dovesse smettere di far teatro, pur non allestendo lavori miei, una cosa è certa, io andrò sempre lì a vivere, anche se per un'attimo, quel mondo fantastico e divertente che è il suo modo di far teatro, quello con la "T" maiuscola che crea quel ponte diretto tra attore-spettatore cancellando tutto il resto e concedendo al pubblico di vivere la realtá del teatro dialettale siciliano; una realtà che appartiene a tutti e che deve essere riscoperta e valorizzata. Rocco Chinnici