Teatro dell’Opera di Roma offre al pubblico un capolavoro di grande livello e di coniugarlo con il barocco morboso della regìa visionaria di Emma Dante. L’entusiasmo ha contagiato il pubblico che ha applaudito tutti a lungo.
Emma Dante rilegge Sergej Prokof’ev: L’Angelo di fuoco, scritto tra il 1919 ed il 1927 sul soggetto di un'opera di Valerij Brjusov, viene proposta al Teatro dell’Opera di Roma.
L'angelo e la carne
Una sordida locanda nella Germania del XVI secolo accoglie Ruprecht, un cavaliere che torna in patria dopo lunghe peregrinazioni. Da una stanza vicina l’urlo angosciato di una donna, è Renata che scarmigliata e terrorizzata chiede soccorso. E’ evidentemente preda di una visione demoniaca, una entità che vede solo lei. Ripresasi, narra di un incontro lontano, quando era ancora bambina, con Madiel’, l’angelo che l’avrebbe accompagnata verso un’esistenza di santità. Ma raggiunta l’adolescenza, le pulsioni carnali presero il sopravvento e Renata chiese all’angelo di unirsi a lei. Madiel’ allora, irato, si trasformò in un angelo di fuoco e l’abbandonò.
Nelle vicende successive, la relazione con il bellissimo Conte Heinrich, che ella crede una reincarnazione dell’angelo, la sua sparizione e la ricerca insieme con Ruprecht, che nel duello resterà ferito; fra oscuri e complessi intrecci, episodi inquietanti ed esorcismi, infine Renata viene accusata di aver stretto un patto con il diavolo e condannata al rogo.
Dal simbolismo di Brjusov al barocco di Emma Dante
Sergej Prokof’ev scrisse L’Angelo di fuoco tra il 1919 ed il 1927, da un romanzo di Valerij Brjusov, in un’epoca con un’estetica che va dal simbolismo e dal futurismo all’espressionismo ed al realismo socialista. I gusti dell’epoca e le polemiche artistiche, ideologiche e politiche non ne hanno favorito la diffusione al punto che la prima messa in scena integrale risale al 1955, dopo la morte dell’autore. Opportuna, quanto coraggiosa la scelta della direzione artistica del Teatro dell’Opera di Roma di offrire al pubblico romano un capolavoro di questo livello e di coniugarlo con il barocco morboso della regìa visionaria di Emma Dante.
L’ambientazione (scene di Carmine Maringola) ricorda esplicitamente quell’inquietante cimitero che sono le Catacombe dei Cappuccini di Palermo, la stessa locanda è costituita da ambienti e nicchie che sembrano tombe dove gli avventori si muovono come zombie. Solo la biblioteca di Jakob Glock, costituita da ammassi opprimenti di libri, si distingue dagli altri ambienti, il resto, tra tombe, lapidi, sepolcri è un continuo memento mori. L’orgiastica scena finale si svolge in un’architettura cimiteriale maestosamente simmetrica e opprimente, con il palcoscenico affollato da personaggi in cupo velluto rosso (costumi di Vanessa Sannino), il rogo della condanna è però sostituito con una specie di Assunzione dove Renata assume le sembianze e la nera veste della Madonna dei Sette dolori, tanto presente nell’iconografia siciliana.
Straordinaria l’invenzione di rappresentare L’Angelo di fuoco come un diafano ballerino di Breakdance (movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco) con l’eccezionale prestazione del mimo-attore Alis Bianca che riesce a far dimenticare l’esistenza della gravità, mentre l’altro mimo-attore che rappresenta il Conte Henirich è Ivano Picciallo, impegnato in un ruolo fatto di movimenti a scatti ispirato al balletto futurista russo, che ricorda anche il nostro Fortunato Depero.
Siparietti per cantanti-attori
Originale la scelta di movimentare i cambi di quadri per mezzo di siparietti senza musica con attori che, nel proscenio, davanti al sipario chiuso, leggono a bassa voce. I numerosi cantanti-attori sono tutti adeguati ai ruoli, una citazione per la prestazione di Leigh Melrose nel ruolo di Ruprecht, grande presenza attoriale, anche se, come gli altri, spesso la sua parte vocale è stata soffocata dalla scelta di Alejo Perez di enfatizzare il volume orchestrale.
Nella recita del 1 giugno il ruolo di Renata (con la cuffietta e l’abito rosa come la bambina oggetto di culto nel cimitero dei Cappuccini) è stato ricoperto da Elena Popovskaya, anche lei talvolta poco udibile, ma dotata di autorevole presenza scenica. Ricordiamo, tra gli altri, la coppia Mefistofele-Faust ovvero Maxim Paster e Andrii Ganchuk, che dominano la scena con misura ed ironia, ed il maestoso Inquisitore di Goran Juric al centro dell’azione dell’orgiastico finale. Ai cantanti si aggiungono gli attori di Emma Dante, che, insieme agli artisti del Coro, danno corpo ad una massa di grande effetto. Il direttore Alejo Pérez ha scelto di sottolineare analiticamente l’evoluzione musicale parallela all’evoluzione della vicenda in un crescendo di effetti che raggiungono l’acme in perfetta sintonia con le attese dell’ascolto, l’orchestra ed il Coro hanno risposto con puntualità ed entusiasmo. L’entusiasmo ha contagiato il pubblico che ha applaudito tutti a lungo.