A guidare il pubblico in questo viaggio onirico e dissacrante nei meandri dell’Io, l’astuzia e di Mercurio, interpretato dall’irriverente Alessandro Lussiana.
Il mito di Anfitrione, dall’antichità all’epoca contemporanea, è stato al centro di una lunga tradizione teatrale e letteraria: il furto dell’identità commesso da Giove (Giovanni Serratore) ai danni del condottiero di Tebe (Michele Schiano di Cola) per sedurne la bellissima e incorruttibile moglie Alcmena (Irene Grasso), in seguito ingiustamente accusata di tradire il marito, rende i protagonisti dell’intreccio sull’orlo di una tragedia; ma la riscrittura della drammaturga e regista Teresa Ludovico valorizza la componente tragicomica della vicenda.
Tebe come Gomorra
Nel solco tracciato da Plauto, Teresa Ludovico recupera in modo originale le origini di un matrimonio felice, minato dagli inganni di Giove. In questa versione, Anfitrione e Alcmena sono malavitosi: lei, “donna d'onore”, accetta di sposare l'assassino del padre in cambio della vendetta per i fratelli e poi, fedele ai patti, lo ama e lo rispetta. Anfitrione è un autentico boss, violento e arrogante, che, una volta caduto nell’imbroglio di Giove, viene progressivamente privato del suo potere fino a ridursi a “omm ‘e niente”: un’ambientazione contemporanea e pop, che strizza l’occhio al trash televisivo e al gangster movie in stile Gomorra.
Sul palco, sei attori e il musicista Michele Jamil Marzella creano, attraverso le specifiche sonorità del trombone e del radong (o tuba tibetana), una dimensione onirica multiforme, dove luci e ombre, realtà e finzione si alternano, confondendosi in un continuo gioco di specchi, i quali rappresentano l’essenza dello spazio scenico creato dallo scenografo Vincent Longuemare. Le immagini riflesse negli specchi, di attori e pubblico, tendono quasi a giustificare i numerosi scambi di persona derivanti dall’inganno ordito da Giove, sceso tra gli uomini per soddisfare la sua lussuria.
Furto e perdita dell’identità
A guidare il pubblico in questo viaggio onirico e dissacrante nei meandri dell’Io, l’astuzia e di Mercurio, interpretato dall’irriverente Alessandro Lussiana: un istrionico “Maestro di cerimonie”, in un’interpretazione i cui adeguati eccessi richiamano due efficaci “maschere cinematografiche”, ovvero Pennywise e Frank-N-Furter.
Il furto e la perdita dell’identità si incarnano nel personaggio di Sosia, gregario di Anfitrione, emblema dell’uomo che perde ogni certezza su se stesso: a interpretarlo, con brillante ma incisiva leggerezza, Michele Cipriani, irresistibile sia nelle scene che lo vedono contrapporsi (inutilmente) a Mercurio, sia nei “siparietti” comici condivisi con Bromia (Demi Licata).
La plasticità dei corpi degli interpreti e il ritmo serrato dei dialoghi – colpi di pistola a salve compresi - rendono questo allestimento uno degli spettacoli di teatro contemporaneo di maggior impatto emotivo tra quelli attualmente in tour nei teatri italiani.