La scelta di eseguire la versione integrale del capolavoro di Gaetano Donizetti “Anna Bolena” ha regalato al pubblico romano del Teatro dell’Opera una rara occasione.
La scelta di eseguire la versione integrale del capolavoro di Gaetano Donizetti Anna Bolena ha regalato al pubblico romano del Teatro dell’Opera una rara occasione.
La durata di oltre tre ore ha permesso di apprezzare la tensione drammatica crescente che permea la tragedia di una donna ingannata, di un re fellone e di una antagonista divisa tra il rimorso del tradimento e le aspirazioni più intime e segrete. Con quest’opera Donizetti si inserisce tra i lasciti rossiniani, di cui appaiono espliciti riferimenti e gli emergenti stilemi romantici.
L'egoismo di un re cambia la storia
La vicenda è nota: il re Enrico VIII per sposare Anna Bolena ha ripudiato la legittima moglie Caterina d’Aragona provocando così uno scisma con la Chiesa di Roma, poi si invaghisce di Giovanna Seymour, ancella di Anna Bolena, e ordisce un complotto per liberarsi di quest’ultima.
Il Direttore Riccardo Frizza ha colto la necessità di esprimere completamente il crescendo e l’intreccio delle varie tappe del dramma, ed il risultato è sorprendente, niente appare gratuito o pleonastico, ogni dettaglio sembra indispensabile.
Interpretazione memorabile
Grande prestazione di tutti i protagonisti, Maria Agresta è una Anna Bolena dolente e tragica, la sua interpretazione è potente ed agile, anche nelle più insidiose trappole virtuosistiche. La parte di Giovanna Seymour stavolta non è stata affidata ad un mezzosoprano come vuole una certa tradizione ormai consolidata che assegna alla voce più scura il ruolo dell’antagonista, ma ad un vero soprano come era nelle intenzioni di Donizetti. La scelta per questo ruolo di Carmela Remigio è stata una delle perle di questa edizione, le sue virtù musicali ed attoriali hanno dato risalto al ruolo che fronteggia con drammatica ambiguità quello di Anna.
Nella recita del 28 febbraio il ruolo di Enrico VIII è stato di Dario Russo che ha dato corpo e voce ad un personaggio volgare e prepotente che disprezzava le donne e se ne serviva con crudeltà. Grande apprezzamento per la vocalità realmente donizettiana del tenore americano René Barbera che supera con disinvoltura gli insidiosi acuti della parte di Percy, il marito abbandonato di Anna. Il ruolo del paggio Smeton è stato ricoperto en travesti con efficacia da Martina Belli, a suo agio come vocalità e recitazione, ma non abbastanza androgina.
Il ruolo dell’orchestra contribuisce alla narrazione, non ci sono veri e propri leitmotiv per annunciare i personaggi, ma sonorità evocative che introducono le scene e le situazioni, inoltre il coro sempre presente, anche nelle situazioni più intime, rivela il gusto del pubblico dell’epoca che apprezzava le sonorità piene.
La regia minimalista di Andrea De Rosa non si fa notare particolarmente, mentre la scena scarna ed essenziale, spesso si riduce ad una claustrofobica gabbia al centro del palcoscenico che rende un effetto posticcio poco gradevole. Discrete e narrative le livide luci di Enrico Bagnoli che illuminano anche i bei costumi di Ursula Patzak.