Prosa
1984

Dov'è oggi il Grande Fratello?

"1984"
"1984" © Guido Mencari

La messa in scena di un'opera letteraria, soprattutto se distante nel tempo, pone il regista dinanzi ad alcune alternative tipiche che investono la strategia di rappresentazione: in primo luogo se conservare l'integrità del testo, mediando con prudenza il rapporto fra la parola autoriale e lo spettatore, e lasciando a quest'ultimo il compito di trascinare i contenuti nel presente; o se al contrario tradire la scrittura originaria trasferendo arbitrariamente le idee dell'autore nell'epoca della rappresentazione. E ancora: quando l'opera ha la potenza di un classico, e i suoi temi sono presumibilmente noti alla gran parte degli spettatori, spetta ancora al regista decidere se adottare una linea mimetica, che nasconda la presenza della regia, come se il testo avesse una sua forma scenica “naturale”; oppure se al contrario rendere evidente la propria presenza nel ruolo inevitabile di secondo autore che necessariamente riforma le istanze dell’opera originaria attraverso la rappresentazione.

Fedeltà, attualità e dibattito

Nel mettere in scena 1984 di George Orwell, Matthew Lenton compie una scelta intermedia ben delineata: il materiale narrativo viene tradotto in drammaturgia con mano discreta estraendo dal libro una catena di episodi di agevole conversione scenica, che restituiscono linearmente la linea principale della trama, ossia la parabola della sconfitta e della rieducazione di Winston Smith. A corredo di un’esecuzione rispettosa del testo viene introdotta anche la figura scenica del narratore, la brava Nicole Guerzoni, che offre la prova d'attore più interessante. D’altro canto il fatto narrativo viene posto sin da principio in corto circuito con la realtà contemporanea attraverso alcuni espedienti. In primo luogo il testo di Orwell viene anticipato da un prologo in cui alcuni degli stessi attori inscenano un dibattito col pubblico sulla libertà dell'individuo nell'era dei social, suggerendo che il Grande Fratello possa oggi identificarsi con chi controlla la grande rete delle opinioni di massa; questo punto di vista si rivela tuttavia provvisorio quando la scena appare delimitata da una grande cornice luminosa, a sua volta confine delle due cornici minori che inquadrano gli eventi sulla scena, e che delinea un diaframma virtuale fra la scena e il pubblico; una quarta parete bifrontale, uno schermo speculare che attrae lo spettatore dentro la storia, rendendolo suo malgrado attore della vicenda. Allo stesso scopo il pannello centrale, che quando è attivo disloca la vicenda in un arbitrario luogo videosorvegliato, a tratti riflette il pubblico e ne rivela la presenza incombente sulla scena. In questo modo ognuno degli spettatori diventa a sua volta elemento attivo della distopia, o della sua metafora proiettata sul presente, neurone attivo della grande mente che conforma le idee sul pianeta, responsabile e non solo vittima di un processo di allineamento del pensiero. Per dare forza a quest’idea, lo spettacolo mantiene una certa fedeltà espressiva alla narrazione orwelliana, con gli episodi più scenografici – la fuga d'amore con Julie, la cattura, le torture – rappresentati con realismo quasi cinematografico e sottolineati di volta in volta dall'attivazione delle cornici. L'espediente della psicopolizia che punta inquisitoriamente le torce verso la platea riunisce sinteticamente la funzione di rimettere il pubblico all'interno della storia e quella di agevolare la chiarezza del cambio di scena che prelude all'acme emotivo della vicenda, quello appunto della conversione di Smith alla ragione di Stato.

Fiction o realtà

Quanto funziona il dispositivo “attualizzante” ideato da Lenton? Durante il prologo – il finto dibattito col pubblico sulla pervasività della tecnologia e dei social network – non sono pochi gli spettatori che restano passivi, reputando distrattamente che lo spettacolo debba ancora iniziare; anche l'invito rivolto più volte dagli attori a spegnere i cellulari sembra confermare che la finzione scenica non si è ancora innescata; in un certo senso la mancata percezione dell'elemento fictional prova la riuscita dell’espediente. Ma appena il dibattito sfuma e la sala si oscura, ecco che alcuni spettatori restano col cellulare acceso a proseguire per diversi minuti la loro vita virtuale: un momento così assurdo da far credere sulle prime che si trattasse di un ulteriore stratagemma del regista. Forse per quegli spettatori la drammatica profezia di Orwell è arrivata troppo tardi.

Visto il 21-04-2018
al Delle Passioni di Modena (MO)