Un solo attore in scena. Uno sguardo carico di tensione. Una musica inquietante e monotona. Tre monitor con un videogioco in loop fatto semplicemente di violenza e omicidi. Un timer viene azionato. Il teatro è preso in ostaggio. Questa è in sintesi la trama e la cornice emotiva della messa in scena di 20 novembre, un testo teatrale scritto dal drammaturgo svedese Lars Norén, che Fausto Russo Alesi ha proposto agli spettatori del Teatro Nuovo di Napoli, curandone la regia e l’interpretazione. Lo spettacolo si ispira ad una storia vera, quella di Sebastian, un giovane tedesco che nel 2006 è entrato armato in un liceo della Vestfalia, sparando su studenti e docenti e mettendo a repentaglio la vita di circa trenta le persone, per poi suicidarsi. La messa in scena di Fausto Russo Alesi presenta un solo personaggio che racconta la propria solitudine monologante attraverso tutta la rabbia che mostra verso la sua società di appartenenza. Il diciottenne Sebastian si pone al centro del palco, circondato ai due lati della scena da un pubblico seduto che è formato da spettatori reali e fantocci quasi umani tra loro quasi indistinguibili, e procede alla sua vestizione finale: un cinturone, un coltello, bombe fumogene, tritolo, cartucce e mitra. Dichiara che questa è la sua ora e comprime il resto della sua vita e quella degli spettatori nella drammatica performance teatrale di un ora e ventuno minuti di tempo.
La messa in scena è tutta giocata su questa dimensione temporale serrata e sull’attesa frenetica della fine del tempo. Fausto Russo Alesi costruisce una scena nella quale regna l’immobilità e la tensione. Lo spettatore deve guardare e vivere questa attesa, deve soffrire con il personaggio, deve stare molto attento: questa la richiesta perentoria di chi è lì per vendicarsi delle ingiustizie e delle umiliazioni subite in passato e non più sopportabili. La drammaturgia complessiva di questo lavoro teatrale mostra, con lo scorrere del tempo, un certo calo di tensione per una certa ripetitività scenica ed una intenzionale sottolineatura di lunghe pause e momenti di silenzio, ma è anche assolutamente funzionale alla grande interpretazione di Russo Alesi, che riesce a porre tutta l’attenzione drammatica sul suo corpo, sui suoi brevi movimenti, sulla sua voce sofferente, sulla sua gestualità contratta. Un viso spento ed esangue, un corpo estremamente muscolare nella sua rigidità, un’espressione fonetica decisa e sibilante rendono la sua interpretazione di grande spessore nel descrivere le frustrazioni di un giovane angelo della morte che rifiuta fino in fondo il potere dei soldi e la società dei consumi. Arriva a piangere per quello che sta per fare, ma non crede più nell’innocenza di nessuno: «Se questo è il futuro non mi interessa», questo scrive su una lavagna, prima che il palco, allo scadere del tempo, sia avvolto nel buio della tragedia e sia ricoperto da manichini/spettatori ormai cadaveri.