Successo per il Midsummer Night's Dream di Benjamin Britten: Chi la dura, la vince, direbbe qualcuno. Da quando si è insediato, infatti, il sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova Claudio Orazi ha scelto di aprire la stagione con opere e allestimenti che altrove sarebbero stati normali: ma che a volte risultavano indigesti ad un pubblico molto tradizionalista e poco amante delle novità come quello genovese.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Stavolta invece la prima e le repliche successive sono state chiuse da oltre dieci minuti di applausi (che a Genova sono tanti). E sul fatto che l’accoppiata Shakesperare-Britten fosse potenzialmente indigesta, c’erano pochi dubbi: erano quasi vent’anni che Britten non veniva a rappresentato a Genova; e all’epoca si trattava di un prodotto di sicuro successo come Billy Budd. Non tralasciamo neppure il fatto che l’opera fosse cantata in inglese, con la traduzione sul display soprastante il palcoscenico.
Tornando al “Sogno” musicato da Britten, l'epilogo ha commosso la platea: quando il bosco mobile che era stato in scena dall’inizio alla fine si è chiuso su protagonisti, mimi e comparse di un cast decisamente nutrito. Ma prima anche le tre ore dello spettacolo (con l’intervallo) erano volate via.
Genova ha collaborato con Muscat (Oman)
Per chi non ha mai visto questo spettacolo, non si tratta di uno Shakespeare puro: il libretto è stato scritto dallo stesso Britten, insieme a Peter Pears, ispirandosi alla commedia scespiriana. A Genova è andato in scena il nuovo allestimento realizzato dalla Fondazione Carlo Felice in collaborazione con la Royal Opera House di Muscat (Oman), con l'ottima regia di Laurence Dale: bravo a districarsi negli intrecci complicati senza far perdere il bandolo della matassa neppure agli spettatori. Sugli scudi il maestro concertatore e direttore Donato Renzetti, ma non è una novità.
Il regista, con lo scenografo e costumista Gary McCann, crea un respiro di mistero e magia grazie allo scomporsi e riformarsi delle formazioni di alberi, che da semplice sfondo si trasformano in anima del racconto. Dal bosco emergono la comicità degli attori dilettanti, impegnati ad organizzare uno spettacolo per guadagnarsi un vitalizio a corte; la poetica magia di fate ed elfi; la passione bruciante degli amanti; le relazioni ad alto livello tra semidei ed eroi.
Il Midsummer Night's Dream è una matassa intrecciata ad un’altra matassa: Pears e Britten, che erano una coppia abituata all’idea di esistenze che si intrecciano inaspettatamente, riescono nell’impresa di restituire il movimento corale di quest’opera, gli intrecci, il fluire incessante (e musicale di per sé) delle esistenze che si intrecciano.
Pears e Britten mettono ordine nel caos
Quei due riescono mettere ordine nel caos: senza congelarlo, ma preservandone il movimento arioso e magmatico al tempo stesso. Le luci di John Bishop, unite alla scenografia di McCann, creano un mondo che contemporaneamente è claustrofobico ma aperto all’inimmaginabile: come una mente che sogna, appunto.
I colori creano le emozioni e al tempo stesso le sottolineano: come le cornici luminose rettangolari che avvolgono un palcoscenico trasformato in scatola dei sogni. Gli autori e il regista fanno emergere il complicato gioco di scatole cinesi che contengono storie dentro altre storie, senza mai perdere la barra del timone.
Britten pesca a piene mani citazioni e suggestioni da Puccini, Rossini, Verdi e altri ancora. Ci sono cinque attori buffi e quattro duetti: la coppia magica di Oberon e Tytania; la coppia reale Theseus e Hippolyta; due coppie in formazione (Demetrius ed Hermia; Helena e Lysander).
Pears e Britten annullano i risvolti potenzialmente amari e fanno trionfare sogno e magia, passando con nonçalance da atmosfere nobilmente sognanti a siparietti volgarmente comici. Renzetti con l’orchestra gli dà una mano nel ridurre alla ragione un magma che contemporaneamente è anche un vapore sfuggente, trasformandolo nel tappeto musicale in cui si accomodano i protagonisti e le loro storie sospese.
Le voci bianche fanno la differenza
Britten propone quattro tipologie differenti sul piano vocale: pensiamo per esempio a Oberon, controtenore; Tytania, soprano di agilità; Hippolyta, contralto. Il compositore punta sulle voci bianche per il mondo delle fate e usa gli strumenti per creare situazioni differenti, come i glissandi degli archi che immergono lo spettatore nella magia del bosco o gli arabeschi della tromba per la prosa di Puck o ancora i fiati ad assecondare le battute.
Benissimo le quattro soliste Michela Gorini, Sofia Macciò, Lucilla Romano e Eliana Uscidda. Una garanzia come sempre il coro delle voci bianche diretto da Gino Tanasini. A Genova un controtenore non si vede spessissimo, ma Christopher Ainslie ha interpretato Oberon con autorevolezza, spessore, eleganza e raffinatezza. Gli è stata alla pari la Tytania di Sydney Mancasola.
Puntualissimo il quartetto degli innamorati: Peter Kirk (Lysander), John Chest (Demetrius), Hagar Sharvit (Hermia) e Keri Fuge (Helene) hanno avuto un perfetto affiatamento nei concertati
David Shipley è stato capace di restituire la giusta vis comica a Bottom, mentre l’acrobata Matteo Anselmi nel ruolo di Puck sembrava l’Uomo Ragno con i suoi volteggi: per fortuna il ruolo non gli imponeva di cantare, ma solo di parlare.