Costretto dalla pandemia a cancellare la prevista nuova edizione di Lucia di Lammermoor che avrebbe dovuto inaugurare la stagione 2020/21, il Teatro alla Scala non ha voluto comunque rinunciare al suo 7 dicembre, allestendo per l’occasione un concerto a porte chiuse trasmesso in tutto il mondo, in tv (andato in onda su Rai Uno) e in streaming, dal titolo “A riveder le stelle”.
Come l’11 maggio 1946 la riapertura del Teatro alla Scala fu l’evento simbolico che sancì la rinascita di Milano (ed in parte anche dell’Italia) dopo il secondo conflitto mondiale, così la lunga carrellata di immagini della città vista dall'alto, sia durante la sigla iniziale, sia nel catartico coro finale “Tutto cangia” dal Guglielmo Tell di Rossini, hanno rinsaldato il profondo legame tra Milano e il suo teatro. Un ideale volo d’angelo sulla città a ricordarci che la ripartenza dopo questa crisi potrà avvenire solo dalla cultura, perché è anche attraverso la bellezza che torneremo “a riveder le stelle”.
Un grande impegno da parte di tutto il teatro
Nonostante la chiusura forzata il Teatro Alla Scala ha comunque dato prova di eccezionale vitalità, realizzando un evento nato dalla sinergia di discipline diverse quali musica, danza, teatro, moda (alcuni abiti erano firmati da stilisti quali Dolce e Gabbana, Valentino e Armani) e arti visive.
Il concerto, coprodotto con Rai Cultura e concepito con taglio televisivo dal regista Davide Livermore, ha viste coinvolte 23 tra le voci più importanti dell’attuale panorama lirico, che si sono esibite in uno spazio scenico di grande impatto visivo, ricreato attraverso alcuni degli spettacoli firmati dal regista, quali Tamerlano, Attila, Don Pasquale, reinterpretati grazie alle videoproiezioni firmate da D-Wok e riallestiti con talento e professionalità da quelle maestranze che costituiscono la spina dorsale e sono l’orgoglio della grande tradizione teatrale italiana.
Demiurgo della serata è stato il Maestro Riccardo Chailly che ha svolto il delicatissimo compito di impaginare un programma che tenesse conto delle specifiche vocalità degli esecutori, spaziando dal belcanto al verismo. Sotto la sua direzione l’Orchestra del Teatro Alla Scala nonostante, l’inusuale disposizione in platea, ha dato prova di grande compattezza ed altrettanta versatilità nell'affrontare l’eclettica selezione.
Una parata di stelle
Dal punto di vista musicale l’articolato programma si è aperto con il vibrante Rigoletto di Luca Salsi, e con La donna è mobile eseguita da Vittorio Grigolo, cui hanno fatto seguito tre brani da Don Carlo in cui si sono ascoltati Ildar Abdrazakov, straordinario nell'interpretare la malinconia di Filippo II, Ludovic Tézier, Rodrigo dall'impeccabile linea di canto e Elina Garanča, Eboli ferina e volitiva. Dalla Lucia di Lammermoor, di cui avrebbe dovuta essere protagonista, Lisette Oropesa ha regalato una coinvolgente interpretazione di Regnava nel silenzio, che, come raramente capita di ascoltare, è stata eseguita nella tonalità prescritta dall'autore.
Le pagine donizettiane sono proseguite con lo struggente Nemorino di Una furtiva lagrima di Juan Diego Flórez e la scintillante Norina di Rosa Feola, intervallati dal pucciniano Tu, tu piccolo iddio dai tratti eccessivamente drammatici di Kristine Opolais. Alessandra Kurzak è stata una Liù dalla voce luminosa, seguita dalla Carmen impeccabile ma forse troppo elegante di Marianne Crebassa, mentre, sempre nel titolo di Bizet, Piotr Beczała è stato un Don Josè dal bel timbro lirico ma dal fraseggio non sempre omogeneo (caratteristiche riscontrate anche nel successivo “Nessun dorma” da Turandot).
Dei tre interpreti impegnati nel verdiano Ballo in maschera, la migliore interpretazione è stata sicuramente quella di Eleonora Buratto, Amelia intensa e partecipe, cui si sono contrapposti il Riccardo dal bel timbro lirico di Francesco Meli ed il Renato tutto sommato generico di George Petean. Ottime le esecuzioni di Carlos Álvarez, Jago nell’Otello verdiano e Benjamin Barnheim nel Werther di Massenet.
Nell'aria Nemico della Patria dall'Andrea Chénier Plácido Domingo ha sopperito con il suo indiscusso carisma ad una vocalità che non è quella di un baritono, mentre ne La mamma morta Sonia Yoncheva ha sfoggiato il suo timbro morbido e corposo.
Tra gli ascolti pucciniani ha convinto Marina Rebeka in Un bel dì vedremo mentre Roberto Alagna è stato un Mario Cavaradossi dal timbro indurito. Trascinante il finale dal Guglielmo Tell che, oltre ai sei solisti, ha visto impegnato anche il Coro del Teatro alla Scala sistemato nei palchi. Purtroppo non è stato possibile ascoltare Camilla Nylund e Andrea Schager nel Winterstürme da Walkiria di Richard Wagner, dato che la Rai, per non sforare sul telegiornale e sul relativo blocco pubblicitario, ha discutibilmente scelto di eliminarlo dalla scaletta, mentre sulle emittenti straniere il duetto è stato regolarmente trasmesso.
Non solo canto ma anche danza e prosa
Ma la Scala non è solo lirica, infatti anche il Corpo di ballo è stato impegnato in tre coreografie, durante le quali Chailly ha ceduto la bacchetta al Maestro Michele Gamba, che spaziavano dal classico al contemporaneo. Ha aperto le danze il balletto natalizio per eccellenza, ovvero lo Schiaccianoci di Čajkovskij, per lasciare quindi spazio al suggestivo Waves, su musiche di Eric Satie, nel quale il talento di Roberto Bolle, Étoile del teatro, ha dialogato sulla scena con una luce laser.
L’ultima esibizione era dedicata alle opere di Giuseppe verdi con una selezione di ballabili tratti Jerusalem, I vespri siciliani e Trovatore.
A fungere da collante della serata sono stati coinvolti alcuni importanti nomi del teatro di prosa quali Massimo Popolizio, Caterina Murino, Laura Marinoni, Sax Nicosia, Giancarlo Judica Cordiglia, Linda Gennari, Maria Grazia Solano, che, da diverse location del teatro hanno recitato tra gli altri brani di Montale, Pavese, Ingmar Bergman oltre a Michela Murgia che dal foyer è stata protagonista di un suo testo legato alla figura femminile nell’opera. Idea interessante sulla carta che però si è rivelata l’anello debole del progetto.
La scelta dei brani ha infatti dato a volte la sensazione di appesantire il ritmo o comunque di non aggiungere niente a quanto si sarebbe poi ascoltato, creando inutili cesure.
Assolutamente lusinghiera la risposta del pubblico televisivo che, nel corso delle tre ore di trasmissione, in Italia si è attestato sui 2.600.000 spettatori, quasi eguagliando la prima di Tosca dell’anno scorso (qui la recensione dello spettacolo), a riprova del fatto che, nonostante la difficile situazione, la voglia di cultura e spettacolo non è mai venuta meno.