Dopo Il crogiuolo, Filippo Dini affronta come regista e interprete un altro impietoso testo della drammaturgia americana. Agosto a Osage County “ruba” il titolo a una poesia di Howard Starks, che racconta di una veglia per un anziana signora morente: i suoi cari si riuniscono intorno a lei e le parlano con amore e riconoscenza, attraverso i ricordi.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Il testo del drammaturgo e attore americano Tracy Letts sembra assolutamente lontano da un’atmosfera carica di affetto: attraverso una sorta di viaggio sentimentale – tra affetti, ripicche e segreti – rappresenta l’inevitabile declino di una famiglia disfunzionale, “intrappolata” in una pesante atmosfera di cinismo e sarcasmo.
La famiglia Weston si riunisce per il funerale del patriarca Beverly (Fabrizio Contri), poeta alcolizzato, suicidatosi senza fornire alcuna spiegazione. Per le donne di casa – una matriarca, tre sorelle e una zia – questo tragico evento è l’occasione per ritrovarsi, ma evolve molto presto in una crudele resa dei conti, nella desolata cornice delle grandi pianure dell’Oklahoma.
Un dramma borghese tragicamente comico
In questo dramma borghese, portato al successo sul grande schermo grazie alla pellicola I segreti di Osage County (con le straordinarie interpretazioni di Meryl Streep e Julia Roberts), il regista Filippo Dini ha trovato tracce di grottesca comicità, che amplificano la violenza attraverso cui viene espresso l’inevitabile conflitto intergenerazionale tra genitori e figli; i primi hanno cercato di elevarsi socialmente, lasciando in eredità alla generazione successiva il peso dell’orgoglio e il senso di colpa per non aver mai realmente conosciuto la sofferenza.
Giuliana De Sio, in stato di grazia, interpreta il ruolo della matriarca Violet Weston, affetta da un cancro alla bocca, aggravato dalla dipendenza da farmaci; sublime negli atteggiamenti e nei gesti, si lascia volentieri andare a un linguaggio colorito, necessaria metafora di un rancore atavico, che viene riversato continuamente su tutti i membri della famiglia.
Insieme a Manuela Mandracchia, nel ruolo della primogenita Barbara, le due attrici fanno scintille nelle scene emotivamente più intense dello spettacolo (la cena con cui si apre il secondo atto e l’amaro confronto finale, sempre attorno a un tavolo).
La casa, luogo della mente
Interessante l’idea alla base dell’ambientazione scenica: casa Weston è una grande stanza grigia, su due livelli, che nella scena finale potrebbe anche suggerire un’atmosfera da reparto psichiatrico.
Lo scenografo Gregorio Zurla l’ha ideata come un labirinto: le varie stanze (una cucina, due camere, e un salottino), vengono spostate a vista dagli stessi personaggi; sono loro, infatti, a creare, gli ambienti, soprattutto nel primo atto: la situazione cambia durante il secondo atto, con spostamenti meno frequenti, segno che la famiglia al centro del dramma è ormai in trappola.
La regia di Filippo Dini compie un evidente scivolone nel secondo atto, facendosi prendere un po’ troppo la mano dalla musica, ma invita comunque a una riflessione diversa, rispetto a quella suggerita dall’autore: nonostante le dinamiche familiari continuino a influenzare l’approccio al mondo di ciascun individuo, la famiglia sembra stia inesorabilmente perdendo il suo ruolo di istituzione educativa primaria.