Produzione salita alla ribalta della cronaca per la recente polemica innescata dal soprano Angel Blue riguardo l’uso del Blackface per il trucco della protagonista, all’Arena di Verona è andata in scena Aida di Giuseppe Verdi nello storico allestimento firmato da Franco Zeffirelli ed interpretata da una straordinaria Anna Netrebko.
Un’Aida tradizionale, quasi vintage
Lo spettacolo del regista fiorentino, che ha debuttato sul palcoscenico veronese una ventina di anni fa, è quanto di più tradizionale si possa incontrare attualmente in teatro. La scena, dello stesso Zeffirelli, è dominata da una grossa piramide dorata che, se da una parte crea un colpo d’occhio indubbiamente suggestivo, dall’altra riduce di molto lo spazio utilizzabile, per cui le scene di massa risultano spesso statiche e congestionate, mentre gli sfarzosi costumi disegnati da Anna Anni, si rifanno alla più classica iconografia legata all’idea dell’antico Egitto.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
All’interno di questa suggestiva cornice i protagonisti agiscono in modo abbastanza convenzionale mentre la regia si limita a coordinare entrate ed uscite, delegando qualsivoglia idea interpretativa all’esperienza dei singoli.
È chiaro che in un allestimento così attento e rispettoso del libretto, nato quando la sensibilità nei confronti della questione razziale a teatro era diversa, il rappresentare gli etiopi con la pelle scura, non dovrebbe costituire oggetto di polemica, anzi, un’Aida bianca probabilmente striderebbe, come invece non accadde ad esempio per l’Aida più moderna realizzata sempre in Arena nel 2013 dalla Fura dels Baus.
Inoltre c’è una notevole differenza tra il Blackface vero e proprio, che era una parodia della gente di colore, ed un semplice trucco scenico -e chi ha un minimo di onestà intellettuale non dovrebbe neanche porsi la questione- pertanto, se questo spettacolo ha dei limiti e se la sua concezione risulta superata, non è il colore della pelle della protagonista costituirne il limite principale, ma è tutto l’impianto registico che, guardando al passato, lo fa apparire come una proposta quasi museale.
Anna Netrebko fuoriclasse in un cast equilibrato
Principale motivo di interesse in questa ripresa è la presenza di Anna Netrebko, che nel ruolo del titolo si conferma la fuoriclasse che conosciamo. La cantante russa dà vita ad un personaggio perfettamente compiuto grazie al suo carisma, segnando una netta linea di demarcazione tra lei e gli altri interpreti che si limitano a seguire la non-regia di Zeffirelli.
La voce svetta rigogliosa e la linea di canto è impeccabile, soprattutto nel terzo atto, perfettamente cesellato -straordinaria l’interpretazione dell’aria “O cieli azzurri”- nel quale ha dato prova della sua lunga carriera di belcantista. Al suo fianco, Yusif Eyvazov riesce perfettamente a coniugare sia la componente lirica che quella eroica di Radames. Nonostante un timbro non felicissimo, il cantante azero è un raffinato fraseggiatore ed un interprete sempre credibile.
Anna Maria Chiuri è un’Amneris intensa e volitiva, dalla voce ferma e imponente, anche se nel quarto atto tende ad eccedere in un’interpretazione dai tratti veristi che in alcuni casi ne penalizza la salita all’acuto. Ambrogio Maestri è un Amonasro non sempre a fuoco, Romano Dal Zovo un Re nel complesso funzionale, mentre convincono il Ramfis di Rafał Siwek ed il messaggero di Francesco Pittari.
Dopo un primo atto interlocutorio ed a tratti privo di mordente, la direzione di Marco Armiliato sembra prendere il volo a partire dalla prima scena del secondo atto, nella quale le due protagoniste ci regalano un momento di straordinario teatro, per continuare su buoni livelli sino alla fine dell’opera. Apprezzabile come sempre la prestazione del coro diretto da Ulisse Trabacchin.
Al termine applausi convinti da un anfiteatro quasi esaurito con meritate ovazioni per la Netrebko.