Un dramma mascherato alla perfezione da commedia esilarante questo Amanti di Ivan Cotroneo. Lo spettacolo è un abito sartoriale confezionato su misura dallo stesso Cotroneo in base alle caratteristiche del suo protagonista-istrione Massimiliano Gallo, che risalta in ogni passaggio, frase o gag stando sempre al centro della narrazione, anche quando è fuori scena.
Se c’è un limite, sta proprio in questo: Claudia, la coprotagonista Fabrizia Sacchi, finisce spesso per avere un ruolo da comprimaria. Eppure sa far ridere, altrove e in questo spettacolo dove è dolente, sognatrice, romantica, comica, volitiva eppure smarrita. Incerta ma capace di prendere una decisione definitivamente dolorosa e senza ritorno: l’abbiamo detto, è un dramma travestito da commedia.
Applausi da TV
Nello spettacolo si ride: risate e applausi a scena aperta, che di solito sono più frequenti nei format televisivi rispetto a quanto avviene nella prosa. Il retrogusto amaro nella risata c’è sempre, ma se ne accorgono in pochi. E’ un umorismo basato sui tempi comici, sulla battuta fulminea e sulfurea, sull’automatismo immediato che dalla situazione porta al paradosso della stessa situazione.
Scene e fatti partono reali e diventano surreali in tre battute, e la comicità di Massimiliano Gallo si trasforma in base al passaggio del testo, fino alla maschera tragica di una vita che si sgretola e che tenta di ricostruirsi.
Mentre si ride, bisogna provare a immaginare lo spaesamento esistenziale e il senso di fallimento come padre e come persona che c’è dietro quella battuta dei tre figli che di sera ti aspettano al rientro dal lavoro, nascosti nella penombra del corridoio come dei malfattori. Il senso di inadeguatezza; il desiderio di essere felici senza avere la più pallida idea di come si fa.
Il rimpianto per le scelte sbagliate che all’epoca sembravano giuste; il rimpianto per essersi lasciato andare nel presente, all’inseguimento della felicità di cui si parlava prima e che evidentemente non è raggiungibile dall’essere umano.
Una psicologa dalle idee confuse
Il ruolo di Orsetta De Rossi, psicologa, è quello di reggere il sacco della trama: il suo studio è il crocevia di due psicanalisi di coppia e due psicanalisi singole che in teoria non dovrebbero neppure sapere nulla dell’esistenza dell’altra, e invece si incrociano in continuazione. La dottoressa sembra incapace di mettere ordine nel caos esistenziale che la circonda e allora si rifugia inopinatamente nello yoga.
Le luci decidono dove si svolge l’azione: di qui lo studio dell’analista, di là la camera d’hotel-alcova degli amanti. Eleonora Rossi e Diego d’Elia sono lo stereotipo della moglie impossibile che ci mette il carico da 11 e del marito remissivo che si rifiuta di aprire gli occhi davanti alla realtà. E forse ha ragione, dato che alla fine vince lui: sulla carta, almeno.