A distanza di secoli, dopo centinaia e migliaia di riletture, ecco l’interpretazione del pallido principe danese secondo Filippo Timi.
Scommessa azzardata e vincente questo Amleto, costantemente giocato tra finzione e realtà. Si parte dalla tradizione sperimentale dell’Hamlet suite di Carmelo Bene per affondare il colpo nella grottesca tragicomica rivelazione: le parole pronunciate nel dramma sono destinate a ripetersi all’infinito; i personaggi stessi (Ofelia,Amleto, Gertrude) sono destinati a trasformarsi in maschere grottesche. Volti e nomi prigionieri della loro vicenda.
Esemplare è il dialogo tra Amleto e Gertrude, dalle battute del testo si giunge , con fatica, alla verità di un rapporto madre e figlio: relazione destinata a dibattersi nelle stesse identiche frasi e motti.
Amleto e il senso del frivolo
In una scena dominata dal trono e da una gabbia dorata ecco spadroneggiare Amleto. tra stranezze e capricci, fra travestimenti e palloncini. Amleto è nobile, viziato e incapace di prendere sul serio il compito di vendetta affidatogli dal padre ( persino l’apparizione di Amleto padre è rivisitata in chiave assurda e paradossale).
Nella pièce si pongono dei quesiti sulla morte ma niente appare come sembra:tutto è volto in calembour, tutto è sacrificabile… tutto, tranne la morte fisica (narrata in tutta la sua naturale e cruda verità, com’è nel monologo di Ofelia).
Un Amleto di meno
Con Amleto2 si realizza un unicum. Opera in itinere: Timi sacrifica sì, la partitura del testo, ma per favorire la ricerca di nuovi linguaggi e chiavi di lettura. Ottimo il cast di interpreti: tutti capaci di fronteggiare i cambi e le trovate di un testo mai affidato alla routine. In particolare, segnaliamo Lucia Mascino, le sue incursioni e la sua varietà di registri vocali, la rendono un elemento indispensabile dello spettacolo. Pubblico soddisfatto e attento. Si esce ricaricati.