Titolo inaugurale della stagione 2017/18, tappa importante nel percorso dedicato ai titoli appartenenti ai compositori italiani della cosiddetta “Giovane scuola” ovvero quelli a cavallo tra XIX e XX secolo, Andrea Chénier di Umberto Giordano è stato ripreso al Teatro alla Scala nel riuscito allestimento con la regia di Mario Martone, scene di Margherita Palli e costumi di Ursula Patzak.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Una regia efficace nel rispetto della tradizione
Uno spettacolo sostanzialmente tradizionale che rispetta l’ambientazione rivoluzionaria francese e racconta la vicenda senza particolari stravolgimenti.
L’impianto si basa su una pedana rotante che consente cambi scena molto rapidi, studiato per assecondare le esigenze musicali del direttore Riccardo Chailly che nel 2017, seguendo le intenzioni dell’autore, aveva concepito un’esecuzione senza soluzione di continuità, bandendo gli applausi a scena aperta e lasciando un unico intervallo tra secondo e terzo atto, scelta che aveva permesso di cogliere in modo ancora più marcato le influenze wagneriane nello stile compositivo di Giordano.
Per questo motivo la regia si dipana in modo estremamente fluido, quasi cinematografico, contrapponendo l’artificiale mondo della nobiltà, cristallizzato in tableux vivants che ricordano le statuine di porcellana di Capodimonte, a quello del popolo, più dinamico e sanguigno.
Accurato anche il lavoro sui singoli interpreti che emergono in maniera sfaccettata, sia che si tratti dei protagonisti, sia dei numerosi comprimari che costellano la partitura. Unico neo: il cambio scena tra terzo e quarto atto che, per rispettarne la rapidità, costringe i macchinisti a lavorare durante l’esecuzione di “Come un bel dì di maggio” che ne esce non poco disturbata.
Applauditissima l’esecuzione musicale
Vero motivo di interesse di questa ripresa è stato però l’aspetto musicale che ha visto schierato un cast formidabile. Subentrato nelle ultime repliche, Jonas Kaufmann ha delineato un’Andrea Chénier estremamente sfaccettato e ricco di sfumature. Alla mancanza dello squillo eroico -anche se gli acuti sono ineccepibili- sopperisce con una ricerca introspettiva del personaggio supportata da un fraseggio magistrale, cui si affianca un’eccezionale presenza scenica.
Bellissimo per varietà di accenti il suo “Un dì all’azzurro spazio” come anche l’appassionato duetto finale del secondo atto, complice l’ottima intesa con la Maddalena di Sonya Yoncheva. Il soprano bulgaro, che sfoggia una voce piena e corposa, costruisce una Maddalena intensa e volitiva, che si differenzia fin dall’inizio dallo stereotipo della ragazzina viziata. La sua è un’esibizione in crescendo che ha il suo apice in un’applauditissima esecuzione de “La mamma morta”.
Vero trionfatore della serata è stato però il Gérard Amartuvshin Enkhbat che, oltre a confermarsi come una delle più belle voci di baritono del panorama internazionale, si sta sempre più affinando anche dal punto di vista interpretativo, al punto che, all’interno di un terzo atto pressoché perfetto, il suo “Nemico della patria” è stato accolto da una vera e propria ovazione innescata dal loggione e da insistite richieste di bis, fenomeno abbastanza raro alla Scala.
Assolutamente eccellente anche il gruppo dei comprimari, tra i quali si segnalano la struggente Madelon di Elena Zilio, il trascinante Mathieu di Giulio Mastrototaro e l’incisivo Incredibile di Carlo Bosi.
Sul podio Marco Armiliato, già apprezzato interprete della musica di Giordano nelle repliche di Fedora dello scorso autunno, ha diretto a memoria con mano sicura optando per una lettura vigorosa, di grande respiro, a volte massiccia nei volumi ma allo stesso tempo di grande tensione drammatica ed attenta alle esigenze dei cantanti, comprese le pause al termine delle arie per consentire l’applauso.
Impeccabile come sempre il coro diretto da Alberto Malazzi.
Al termine un teatro esaurito ed entusiasta ha decretato un successo incondizionato per tutti gli interpreti.