Due ore e mezza di spettacolo che volano via d’un soffio: tanto che l’intervallo appare da subito come una necessità degli attori più che degli spettatori.
Questo Arlecchino muto per lo spavento di StivalaccioTeatro è quello che ci vuole per fare innamorare del teatro i bambini e i ragazzi più giovani: infatti in sala c’erano un paio di scolaresche che hanno dimostrato di gradire moltissimo. Ridevano e interagivano con gli attori, quando i vari personaggi si rivolgevano direttamente al pubblico o passavano tra i sedili. Alla fine, standing ovation per tutti: che per il pubblico genovese è una vera rarità.
L’autore Marco Zoppello, che ha curato anche la regia dello spettacolo e interpreta Arlecchino, ha tratto il testo dall’Arlequin muet par la crainte di Luigi Riccoboni, uno dei canovacci della Commedia dell’Arte più in voga nella Parigi del primo ‘700.
Arlecchino è muto perchè non sa il francese
La spiegazione del titolo è presto detta. Riccoboni a causa della sua fama era stato chiamato a esibirsi con la sua compagnia alla Corte del Re di Francia, nel 1716. Per fare bella figura aveva scelto la crema degli attori italiani, chiamati dalle varie regioni in cui lavoravano interpretando le rispettive maschere locali: e questo è il motivo per cui gli attori in questo spettacolo parlano ancora oggi con spiccate cadenze dei vari dialetti italiani.
All’epoca il migliore Arlecchino in assoluto era il vicentino Tommaso Visentini, che però non parlava per nulla il francese. Per ovviare al problema, Riccoboni aveva quindi scritto per Arlecchino un monologo in francese, che Visentini avrebbe dovuto imparare a memoria: finito quello, l’attore avrebbe fatto finta di essere “diventato muto per lo spavento”, recitando solo con il corpo. Tipica genialità di questo genere teatrale.
Nove attori in maschera, che rappresentano tutta Italia
Sul palcoscenico oggi ci sono ben nove attori in maschera, impegnati nelle tipizzazioni umane di questo genere: Sara Allevi (la popolana Violetta), Marie Coutance (la sensuale, procace ed esotica Flamminia), Matteo Cremon (l’ardimentoso Cavalier Lelio), Anna De Franceschi (la commerciante Stramonia Lanternani), Michele Mori (l’imbranatissimo Mario Lanternani), Stefano Rota (il pragmatico e tignoso Pantalone de’ Bisognosi), Pierdomenico Simone (l’altrettanto pragmatico e un po’ gretto oste Trappola), Maria Luisa Zaltron (la donna milanese emancipata), Marco Zoppello (Arlecchino).
Sono tutti alle prese con recitazione, canto, danza, improvvisazione, combattimento scenico e strumenti musicali suonati dal vivo: come nella migliore tradizione del genere.
Trama basica, poi scatenatevi
La trama è quella classica e basica della Commedia dell’Arte: ci sono due amori contrastati e in mezzo i lazzi e le improvvisazioni lasciate alle maschere in scena. “Uno spettacolo dove gioco, invenzione, amore, paura e dramma si mescolano, dove gli intrecci si ingarbugliano sull’equivoco e lentamente si dipanano tra le dita dei personaggi» dicono le note di regia.
Questo Arlecchino è un atto d’amore per la Commedia dell’Arte, affrontata con un approccio e una lettura moderna, e per il teatro in generale. Ci sono i frizzi, i lazzi, i motteggi, le capriole, le iperboli, le derive paradossali del significato e della recitazione: ma anche momenti di intenso lirismo e ripiegamento, come in una struggente esecuzione di una canzone di Gabriella Ferri e in un paio di monologhi.
Iniezioni di modernità, ma a piccole dosi
Ci sono situazioni tratte dalla modernità, come battute di film o citazioni di tormentoni pubblicitari. In platea non lo sappiamo, ma nello spettacolo c’è anche un tocco di attenzione all’ecologia e alla sostenibilità: lo testimoniano i costumi realizzati da Licia Lucchesi utilizzando stoffe e materiali a basso impatto ambientale. Marco Zoppello ha creato un meccanismo perfetto, ben sostenuto dalla bravura degli attori.
Arlecchino e Pantalone non fanno rimpiangere i grandi interpreti del passato di queste due maschere, e non è impresa da poco. Arlecchino è ginnico, genuino, popolare e popolano, ingenuo e smaliziato, perennemente affamato come da clichè. Pantalone è un avaro sotto sotto dal cuore d’oro e dotato di uno spiccato senso dell’humor. Trappola, oste napoletano in trasferta al nord sembra un clone redivivo di Nino Taranto a cominciare dalla parlata e dalla gestualità.
Violetta, una romanesca a Milano
Violetta è la cameriera romanesca abituata ai maneggi del potere e quindi impossibile da meravigliare, capace di tagliare e cucire con la lingua oltre che di manovrare le situazioni a suo vantaggio. Mario è la quintessenza del cocco di mamma che per amore riesce a trovare un minimo di spina dorsale. Silvia è una femminista emancipata ante litteram, non a caso milanese.
Flamminia è la donna moderna d’oltralpe, capace di fare impazzire chiunque con le sue forme: omaggio ai padroni di casa della Corte francese. Stramonia è miope e pragmatica, attaccata al soldo: e non a caso va d’accordissimo con Pantalone. Lelio è il cavaliere guascone, senza macchia e senza paura: che non a caso all’epoca era il capo della compagnia.
Riuscita quindi la manovra di trasformare una cosa datata per eccellenza come la Commedia dell’Arte nel sempiterno e divertente teatrino della vita quotidiana, con i suoi tic, e i suoi tipi umani sempre uguali nei secoli.