Prosa
BAAL

L'arte dell'e-ruttare nel Baal di Mattiello

L'arte dell'e-ruttare nel Baal di Mattiello

Le sfide teatrali difficili sembrano essere la linfa vitale del lavoro scenico che da anni stanno portando avanti il regista Salvatore Mattiello e il suo gruppo teatrale della sala Ichos Zoe di San Giovanni a Teduccio, quartiere periferico della zona industriale di Napoli. Dopo una recente innovativa rilettura di due importanti opere di Annibale Ruccello, che subito sembrano avere scomposto un canone teatrale troppo presto cristallizzatosi attorno alla figura di questo grande artista scomparso in giovane età, è stata la drammaturgia di Bertolt Brecht ad essere presa di mira e messa in scena.

Non si tratta di un semplice lavoro di lettura, studio, analisi e rappresentazione. Non è un classico che torna di moda. Si tratta piuttosto di un lavoro di gruppo che ha previsto un corpo a corpo con la drammaturgia epica del maestro tedesco, di una attività intestinale di introiezione e digestione che sembra giungere sin nelle viscere della dialettica e dello straniamento, dal momento che il testo in questione è Baal. Questo testo giovanile di Brecht, quasi dimenticato dal teatro italiano degli ultimi anni, è un’opera difficile, dal linguaggio poetico fatto di dialoghi serrati e blandi allo stesso tempo dei tanti personaggi della vicenda. Baal domina la scena con un rutto, con una grappa o la sua semplice distrazione per una donna. Baal è un semplice essere umano, ma sente dentro di sé la presenza del divino mistero naturale che avvolge l’uomo. Baal non vuole farsi sfruttare o forse non ha tempo da dedicare a questo problema. Baal è solo, ma vive tra la gente. Baal è un personaggio teatrale e tuttavia sembra provare a raccontarlo fino in fondo.

Salvatore Mattiello ha provato ad immaginare Baal ed il suo contesto, la sua brama e le sue prede, i suoi compagni ed i suoi carnefici. E poi la successione delle varie rapide stazioni del dramma tra esterni ed interni, tra giorni e notti, tra abbaino e cabaret. Ne è uscita fuori una mirabile prova di scrittura scenica, organica e suggestiva, nella quale l’intera drammaturgia brechtiana si coniuga con grande forza drammatica in un impianto scenografico elementare e complesso allo stesso tempo. Una serie di nastri di cellophane, coperti da colorati fiori secchi, ha tagliato in larghezza ed in profondità la scena, strutturando un mondo scenico tra alto e basso, civiltà e foresta, solitudine e vita sociale. Se il palco diventa una sorta di scacchiera mobile attraversata dai personaggi, è sull’azione spaziale legata alla verticalità che si gioca la drammaturgia di Baal. Ekart sottolinea più volte nel corso della vicenda la pesantezza dell’amico, il pericolo che possa improvvisamente sprofondare, la minaccia della discesa senza scampo di un amico che risponde a queste preoccupazioni con il cantare una ballata.

In questa scrittura scenica con una scenografia illusionistica di grande abilità Mattiello sembra giocare con la forza di gravità che attanaglia Baal: si tratta di una architettura scenica dalla segmentazione tassativa e tuttavia costituita solo di nastri e fiori, leggerezza e pesantezza di una struttura capitalistica antisociale per l’asociale Baal, che sale e scende, che attraversa gli ingranaggi che lo vorrebbero incasellare come artista. Baal sfugge, si divincola, ama e uccide, partecipa al suo mondo in alto e in basso, gode e soffre, fa godere e fa soffrire, si contamina del mondo e contamina il mondo stesso. Per raccontarci in una ballata la storia del suo personaggio, la sua pesantezza e la sua fine, ma anche la sua voglia di e-ruttare la sua verità nell’incastro tra identità e relazione, tra testo e contesto, tra la misera forza della grappa o di una ballata e la violenza di una struttura sociale che si sovrappone alla stessa struttura scenica.

Visto il 14-04-2011
al Sala Ichòs di Napoli (NA)