Un gigantesco ritratto del Fuhrer e due enormi svastiche campeggiano sul palcoscenico del Teatro Manzoni. All’aprirsi del sipario non si può che rimanerne colpiti, ma tutto ciò, ovviamente, è tutt’altro che un orribile salto nel passato. Più semplicemente nel raffinato teatro milanese, dal 31 marzo fino al 3 maggio, va in scena “To be or not to be”.
Tratto dal soggetto originale dell’autore Melchior Lengyel e adattato per l’occasione da Maria Letizia Compatangelo, è il primo lavoro diretto da Antonio Calenda che abbia un precedente cinematografico.
Difatti, “To be or not to be” è anche una commedia statunitense del 1942 diretta da Ernst Lubitsch, riproposta poi come remake nel 1983 nell’omonima versione di Alan Johnson che vedeva come protagonista Mel Brooks. Lungamente tralasciato dai teatri, nella stagione in corso è sbarcato contemporaneamente in Italia, nella versione diretta da Calenda, e a Broadway, per la regia di Casey Nicholaw.
“To be or not to be” narra le vicende di una Compagnia teatrale nella Varsavia del 1939. Impegnata nelle prove del nuovo spettacolo intitolato “Gestapo”, testo ironicamente antinazista, è poi obbligata a sospendere la rappresentazione per via della censura. La Compagnia si dedica, quindi, esclusivamente all’Amleto vista la grande attitudine del capocomico Ian Tura per il dramma shakespeariano, non senza qualche risvolto comico.
Poi l’occupazione nazista della Polonia coglie tutti di sorpresa, il teatro viene chiuso e la Compagnia si trova allo sbando. Fino a quando, casualmente, viene coinvolta dal Tenente Sabinski in una vicenda di spionaggio in cui patriotticamente gli attori rischiano la propria vita per sventare una truce azione repressiva degli occupanti.
L’aumentare del pericolo e la paura vengono affrontati dagli attori grazie al teatro: le loro doti e la rappresentazione fuori dal palco di quello stesso spettacolo che la censura aveva bloccato, consentono ai coraggiosi protagonisti di beffare l’imponente macchina hitleriana.
In un susseguirsi di ironiche gags e di momenti di riflessione su ciò che il lungimirante Lengyel immagina già nel 1940, ma che l’Europa avrebbe scoperto solo anni dopo, si giunge al monologo di Greenberg, attore ebreo della Compagnia, di fronte ai veri soldati tedeschi: 'Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo?'.
Monologo di Shylock da “il mercante di Venezia” è senza dubbio il momento più toccante e profondo, rappresentato con un energia perfetta da Francesco Benedetto.
Ironica e struggente piece, ma anche divertente spaccato della vita di una compagnia teatrale è infine importante riflessione proprio sul dualismo “essere-non essere”.
Armonioso l’adattamento della Compatangelo così come sono imperdibili le due arie di Nicola Piovani (Premio Oscar per le musiche di “La vita è bella”).
Sublime prova di Giuseppe Pambieri in una parte che sembra tagliata su misura per l’attore di Varese, come pure è pregevole l’interpretazione di Daniela Mazuccato capace di incantare, oltre che con il suo fascino anche con la dolce voce, sulle note di Piovani (“Cielo su Varsavia” e “Il teatro della vita”). Divertente prova di Carlo Ferreri nella parte di Bromski come sono poi irresistibili anche le irriverenti interpretazioni di Francesco Gusmitta e Fulvio Falzarano rispettivamente nelle parti dei gerarchi Schultz e Ehrhard. Infine apprezzabile la prova di Jacopo Venturiero (Tenente Sabinski), giovane dal puro talento.
Milano, Teatro Manzoni, 18/04/2009
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(RM)