Col materiale a disposizione si poteva confezionare un capolavoro. Invece l'operazione della Banda Osiris e di Marcoré, pur con pregevolissimi passaggi, si perde per strada, lasciandoci con un punto di domanda.
Una rivisitazione che ricostruisce, riprende ed esplora la beatlesmania: aneddoti, canzoni, ricordi biografici, annessi e connessi degli indimenticabili Fab Four. Come nasce il gruppo? Cosa c'è dietro la creazione di Yesterday? Quali pensieri oscuravano la mente di Mark Chapman prima di sparare a Lennon?
Eppure. Eppure.
Il ticket to ride che ci fa viaggiare nella fantasmagorica storia dei Beatles viene vidimato da un pubblico che applaude sì, ma che fatica a seguire il flusso. Lo spettacolo è concerto e monologo, è realtà e visione, è reale e assurdo. Insieme, la Banda Osiris e Marcoré funzionerebbero benissimo, se non fosse per un testo che a tratti li divide e li sconnette.
Bravi, bravissimi i Fab Four all'italiana: salviamo però la Banda Osiris e restituiamole le giuste luci del palcoscenico. Gallione sacrifica eccessivamente il talento a favore di una sceneggiatura che assorbe troppe energie e dal talento ne distoglie troppo spesso lo sguardo.
Marcoré non stona, anzi equilibra e riempie i cali di attenzione; pochi, tuttavia, i momenti di vero ritmo e di attenzione carpita. Le sette versioni di Hey Jude sono il momento più pop e più "up" e, a conti fatti, il pubblico probabilmente ricorda solo quello. Può bastare? Forse sì, ma è lecito chiedersi se davvero non si potesse valorizzare l'immenso patrimonio Beatles-Banda-Marcoré.
Senza rancore, ma con rammarico.