Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa sono di nuovo in tounée con Bersaglio su Molly Bloom, che ha debuttato al Teatro Gobetti di Torino nel dicembre del 2002, il cui sottotiolo recita Venendo l'ultimo capitolo dell'Ulisse di Joyce a manovrare nelle acque territoriali dei cantanti Marcido.
Lo spettacolo affronta l'ultimo capitolo dell'Ulisse di Joyce, quello del monologo interiore di Molly Bloom, tanto frequentato dal teatro delle avanguardie.
Il pubblico entra in sala a sipario già aperto. Sulla scena campeggia una struttura in metallo, di Daniela Del Cin, che è stata premiata con il premio UBU, tutta ornata con delle luci "da festa di paese", nella quale, a partire da una struttura centrale a forma di conchiglia, si sviluppano delle nicchie.
Nella conchiglia e nelle nicchie trovano posto gli attori e le attrici (otto in tutto), in alternanza con le sagome fotografiche di un altro attore a riempire completamente la struttura.
Ogni performer ha un po' di biacca sul volto e indossa un completo giacca pantalone bianco avorio, sul quale sono cucite delle strisce di stoffa elastiche che vanno a legarsi alla struttura metallica della nicchia, con un effetto visivo di notevole impatto. Dinanzi la struttura un direttore d'orchestra attende con la bacchetta in mano. Sul leggio il testo di Joyce con annotazioni in nero di diverso spessore.
Quando le luci si abbassano e in sala cade il buio attori e attrici si schiariscono la voce intonano due strofe di un brano popolare italiano, e poi le luci della struttura si accendono e abbacinano attori e attrici che iniziano a declamare il testo di Joyce all'unisono, a due, a quattro. Ogni tanto una voce contrappunta una singola parola, più spesso una frase viene cominciata da una voce e finita da un'altra.
Poi, quando Maria Luisa Abate si cimenta con un assolo finale il direttore d'orchestra lascia il suo posto.
L'incontro tra uno dei più usati (e abusati) testi del Novecento (l'Ulisse di Joyce è del 1922, anche se in Italia sarà tradotto solamente nel 60) e il teatro di Marco Isidori e Daniela Dal Cin non poteva essere più riuscito e più pertinente.
Riuscito nella facilità apparente con cui attori e attrici rendono la partitura testuale del monologo interiore nel quale Joyce restituisce le libere associazioni intime e interiori della moglie del protagonista del romanzo cogliendo (scegliendo?) le intonazioni di senso da dare alle parole del flusso di coscienza che, nell'originale privo di qualunque punteggiatura, sono meno distinte e più legate.
Pertinente perché l'operazione non costituisce la messinscena di un testo per il teatro borghese ma il risultato dell'incontro tra testo ed l'estetica di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa.
Un teatro totale che Marco Isidori chiama teatro ulteriore, nel quale la parola viene approcciata dal suo versante materico-sonoro, cui corrisponde l'azione e la presenza degli attori e delle attrici, e dove le scene e i costumi fanno parte integrante della drammaturgia non solamente nel lor aspetto teatrale di costumi scene e apparati ma anche per la difficoltà performativa che questi elementi costituiscono.
Bersaglio su Molly Bloom ne è un grande esempio. Appoggiati su una struttura metallica sospesi a diversi metri da terra 8 persone, uomini e donne, vanno all'unisono col corpo e con la voce interagendo con un costume che li lega alla scena e ne lega movimenti dando loro un nuovo profilo di possibilità espressive limitate e differenti da quelle della quotidianità e per questo nuove.
Un teatro che non è mai letteratura ma sudore e carne, quella dei corpi interpretanti e, nella fattispecie, quella di Molly la quale, tramite il genio di Joyce, testimonia come anche le donne abbiano un immaginario e un vissuto erotico e sessuale.
Un vissuto detto sulla scena con malizia sbarazzina (pensare l'impatto che deve avere avuto il romanzo quasi cento anni fa) che diverte e seduce il pubblico entusiasta del Vascello, che chiama attori e attrici a più riprese a prendersi i meritatissimi applausi.