Un quarto d’ora di applausi finali per il ritorno a Genova di Bianca e Fernando, melodramma serio in due atti di Vincenzo Bellini. E’ la terza volta che quest’opera arriva a Genova. La prima è stata nel 1828, per l’inaugurazione del teatro Carlo Felice; la seconda nel 1978.
A chiamare Bellini era stato il poeta genovese Felice Romani, uno dei massimi librettisti dell’epoca. Bellini decise di utilizzare un lavoro che aveva presentato nel 1826 a Napoli, su un libretto di Domenico Gilardoni: apportando però una serie di modifiche e migliorie. Felice Romani a sua volta era intervenuto sul libretto, componendo fra l’altro dei recitativi.
Le modifiche “genovesi” al testo e alla musica erano andate però perdute: sono state ritrovate solo recentemente, grazie a un paziente lavoro di ricerca coordinato dalla Fondazione Carlo Felice e voluto dal sovrintendente Claudio Orazi. Il sovrintendente continua quindi con il suo progetto di portare a Genova spettacoli perduti, poco rappresentati o comunque sconosciuti al grosso pubblico.
Forse vedendo che Bianca e Fernando veniva poco rappresentata, lo stesso Bellini nel corso degli anni si è cannibalizzato da solo, utilizzando pezzi dello spartito per Zaira, Norma, Beatrice di Tenda e I Puritani.
Scenografia magnifica, ma da decifrare
A sipario ancora chiuso, colpisce l’ouverture: per respiro, maestosità e durata. Merito di uno dei pezzi recuperati in archivio e riproposti per la prima volta dal 1828: l’Allegro in re maggiore. Poi l’impatto è dato dalla scenografia di Hugo de Ana, che ha curato anche la regia e i costumi.
All’inizio c’è un po’ di sconcerto: ciò che si vede assomiglia a un monoscopio televisivo, con quel cerchio in mezzo a un reticolo di linee luminose orizzontali e verticali. Poi il motivo delle sfere e dei cerchi viene ripreso e sviluppato in senso geografico con i meridiani e i paralleli, dentro la sfera che fa da bozzolo in cui si svolge l’azione.
L’effetto del movimento delle sfere e delle macchine sceniche in generale è bellissimo, grazie anche al perfetto uso delle luci di Valerio Alfieri, e già da solo varrebbe il prezzo del biglietto: ma non si capisce cosa c’entra quella scenografia con la trama. Se c'è un legame tra gli oggetti scenici e la vicenda narrata, questo legame non si capisce: o, perlomeno, non lo ha capito la maggioranza degli spettatori presenti alla prima. Da parte sua Hugo De Ana non ha rilasciato note di regia per spiegare alcunché.
Ad un certo punto si vede Filippo, il cattivo della situazione, che ha un mappamondo in mano, con due grossi buchi ai poli. Probabilmente qui De Ana allude al fatto che Filippo è dominato da una smania di potere sul mondo, un desiderio destinato ad avere esiti infausti: ma è solo un'ipotesi, appunto.
Vedendo il coro schierato in alto a semicerchio, vestito di bianco e con le mascherine, il primo pensiero non è che i cantanti si stanno proteggendo dal Covid: sembra proprio un teatro anatomico, quelli dove si facevano le autopsie. Anche qui è possibile fare solo illazioni: forse il coro è un'entità che, dall'alto, osserva e analizza come in un'autopsia le miserie umane. Forse, appunto.
Intreccio abbastanza elementare
L’intreccio è abbastanza elementare. All’inizio chi non conosce la trama si sorprende un po’ scoprendo che Bianca e Fernando non sono due amanti infelici ma due fratelli. Nella partitura sono evidenti gli influssi positivi dell’affermato Rossini. Bellini costringe gli interpreti di Fernando e Filippo a fare gli equilibristi vocali: Giorgio Misseri e Nicola Ulivieri si destreggiano molto bene.
Bravo Misseri nella cavatina di Fernando A tanto duol. Idem Ulivieri nell’aria cantata da Filippo Allor che notte avanza. Bianca, al secolo Salome Jicia, brilla nel duetto con Fernando No! Mia suora più non sei. Jicia commuove nella romanza Sorgi, o padre.
Perfette le azioni dei mimi, e anche il coro in scena che duetta con i protagonisti. Poco spazio per Carlo: ma la romanza Da gelido sudore cantata da Alessio Cacciamani fa rimpiangere che quest’opera sia finita nel dimenticatoio per quasi due secoli. Il maestro Donato Renzetti sa come valorizzare al massimo il tappeto musicale.