Lo spettacolo di Caden Manson mescola tecnologia, cultura marginale e mainstream. Si chiama Broke House ed è stato presentato alla Biennale Teatro dal Big Art Group, compagnia di performance sperimentali nata a New York dall’estro e la visionarietà di Caden Manson, che firma regia e scenografia di questo progetto.
Continuando nel solco di una tradizione ormai più che ventennale, il Big Art Group presenta una performance dove le narrazioni tradizionali e le consuete relazioni performer-pubblico vengono manipolate, aperte, destrutturate alla ricerca di nuove forme di comunicazione.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Da Mosca a Pittsburgh
A Mosca, ripetono continuamente le tre sorelle dell’omonimo dramma di Cechov: trasferirsi nella grande capitale è per loro l’unico modo di sfuggire alla soffocante e mediocre vita di provincia. A Pittsburgh vuole invece andare, una delle cinque anime vaganti che abitano la Broke House, Reri, spinta da un seduttore virtuale conosciuto in chat la cui esistenza è messa in discussione dagli altri.
Pittsburgh, come la Mosca delle tre sorelle, è la via d’uscita quando le fondamenta dei sogni crollano, nello spettacolo a causa di uno sfratto improvviso, e quando il futuro assomiglia più a un deserto che a un incantesimo ammaliante.
Gli abitanti della casa, i cui nomi rifanno il verso proprio alle sorelle checoviane, Olga, Manny, Reri, Jeri e Jery, vengono interrotti nel loro rituale di vita, nei loro processi di costruzione di valori e credenze - all’ingresso del pubblico in sala essi infatti si muovono nella casa senza interagire con gli spettatori – finché l’arrivo di un film maker che da contratto potrà riprendere tutto quello che avviene in casa, “Possiamo filmare tutto, compresa la tua immaginazione, e se tu muori, possiamo ricreare la tua immagine”, precisa David, l’operatore, a Manny, interrompe bruscamente tutta la loro architettura, sputandoli all’esterno e costringendoli ad entrare in uno stato transitorio di possibilità.
Come in un videogioco
E’ questa la sensazione che raggiunge lo spettatore: lo spettacolo si muove come un loop temporale da videogioco, dove il tempo viene accentuato dalle videocamere, dirette dallo stesso Manson, che entrano nella casa e moltiplicano le immagini, montate in tempo reale, su pannelli esterni alla casa stessa e nella parte finale dello spettacolo anche sulle pareti del teatro.
Un tempo che sembra a volte dilatarsi, a volte invece aumentare il ritmo, ma senza mai precisarsi, rimanendo in una terra di nessuno dove tutto è destinato a ripetersi. A scandirlo, però, questo tempo, ci sono i rimandi alla realtà, anch’essi proiettati sui pannelli della casa: Economia vs Empatia, Lotta di classe, La derealizzazione della politica. Tutto questo accade davvero nel mondo esterno, e il mondo esterno per Manson è innanzitutto l’America.
Quando la casa viene smontata, quando restano solo le impalcature scheletriche, è la paura del mondo a prendere il sopravvento: le case crollano, vengono risucchiate dalle banche, non si riesce più a mantenerle o per qualche altra ragione si perdono. E’ l’instabilità del qui e ora l’unica cosa che davvero sembra riguardarci. E nel finale il fumo e la penombra avvolgono Manny, mentre cerca di trattenere a tutti i costi David, al quale una voce fuori campo ha ricordato che il tempo delle riprese è finito, per poi lasciarlo andare e gridare a gran voce la parola stop. La casa è rotta ormai e non c’è più niente da girare.