A quasi trent'anni dal suo debutto la Carmen di George Bizet firmata da Franco Zeffirelli nel 1995 si conferma come lo spettacolo più areniano tra quelli in cartellone nel centesimo Arena di Verona Opera Festival.
Una scenografia tradizionale ma di grande effetto
Punto di forza di questo allestimento sono sicuramente le scenografie che, seppur con qualche riadattamento rispetto alla prima edizione, spiccano per il magnifico colpo d'occhio dato dai colori saturi e dal pregevole gioco di luci.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Certo si tratta di un'impostazione tradizionalissima, con i costumi filologici di Anna Anni, i ballerini di flamenco, i militari a cavallo, la sfilata dei picadores prima della corrida e tutto quanto il pubblico areniano si aspetta di trovare, tuttavia, nonostante per molti degli spettatori si tratti di uno spettacolo già visto, il fascino rimane inalterato e l'occhio risulta sempre appagato.
A tradire l'età di questo tipo di allestimento vi è una certa farraginosità nei cambi che, nonostante i tentativi di velocizzare la macchina scenica, dilatano la durata di un titolo già di per sé non breve fino quasi all'una di notte e richiedono l'intervento degli eccellenti ballerini della Compagnia Antonio Gades per riempire i 10 minuti dell'ultimo intervallo.
Trattandosi poi dell’ennesima ripresa, qualche appunto andrebbe mosso anche alla regia che di anno in anno si diluisce lasciando sempre meno intuire quale fosse il progetto iniziale, a partire dal proverbiale talento di Zeffirelli nel muovere le masse che ormai vengono gestite in modo molto più prudente e statico, aumentando l'effetto tableaux vivants. Idem dicasi per il lavoro sui protagonisti la cui costruzione del personaggio viene perlopiù lasciata alle intenzioni del singolo interprete.
Apprezzabile anche l’aspetto musicale
Presenza irrinunciabile sul podio areniano, il Maestro Daniel Oren ha diretto una Carmen sfumata e leggera, dalle tinte acquerellate, attenta ai momenti più lirici ma poco penetrante nella vastità dell’anfiteatro veronese ed a tratti poco incisiva nei passaggi più drammatici e concitati.
Nel ruolo del titolo Clémentine Margaine spiccava per il bel timbro brunito e per la solidità della linea di canto anche se dal punto di vista interpretativo a volte è sembrata mancarle quella luciferina sensualità che è cifra stilistica della gitana di Siviglia. Al suo fianco Freddie De Tommaso è stato un Don Josè generoso nello squillo e curato nel fraseggio mentre Dalibor Jenis ha caratterizzato un Escamillo dal volume imponente ma generico nell’emissione e con qualche difficoltà nel registro grave.
Ottima la Micaela di Mariangela Sicilia: il bel timbro lirico e la grande cura nell’interpretazione hanno fatto sì che le sue due arie siano stati i momenti più coinvolgenti dell’intera rappresentazione. Nel complesso valido l’apporto dei comprimari, tra i quali merita una segnalazione l’impeccabile Zuniga di Giorgi Manoshvili.
Pregevoli gli interventi del coro diretto da Roberto Gabbiani e del coro di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani. Anfiteatro quasi esaurito e successo unanime per tutti gli interpreti.