Lirica
CAVALLERIA RUSTICANA

Calda accoglienza di pubblico per “Cavalleria rusticana” alla Fenice di Venezia

Cavalleria rusticana
Cavalleria rusticana © Michele Crosera

1963, 1980, 2009: queste le ultime apparizioni di Cavalleria rusticana al Teatro la Fenice. Lunghi archi di tempo, in realtà, per un'opera tra le più amate dal pubblico. Un po' più breve la distanza colmata da queste cinque recite, a cavallo tra agosto e settembre, che aprono la seconda parte della stagione veneziano del maggiore teatro. 

L'ultima volta il capolavoro di Mascagni era accoppiato con un rarissimo titolo di Janáček, Šárka; mentre stavolta viene presentato da solo, seguendo un indirizzo sempre più frequente. Il Regio di Parma, per dire, ha concluso la sua ultima stagione con Pagliacci di Leoncavallo. Un'ora di spettacolo, e via. Soluzioni, a nostro parere, un po' limitative in termini produttivi ed artistici, e poco generose nei confronti del pubblico.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Valida sinergia tra Fondazione e Accademia

L'allestimento che vediamo è frutto della consolidata collaborazione tra Fondazione Fenice e la Scuola di scenografia e costume dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, che ha sempre dato buoni frutti. Anche in questo caso, dal momento che i due progetti prescelti in quell'ambito, quello di Bruno Antonetti per le scene, e di Anna Poletti per i costumi (allievi coordinati dai propri docenti Lorenzo Cotùli, Marta Voltolina e Giovanna Fiorentini Angelo Linzalata) risultano indubbiamente validi, anche se del tutto originali. 

Tre grandi quinte mobili, rappresentati la facciata della chiesa e alti muri sbrecciati, vengono fatte ruotare a mano, a vista, variando lo spazio a disposizione e offrendo grande profondità. Siamo pressapoco negli Anni Cinquanta, in un borgo arroventato dal sole – esemplari le luci di Fabio Barettin – e visibilmente malmesso, come vi fosse passato un terremoto, o piovute le bombe alleate. Paesino povero, ma di gente linda e dignitosa.

Nascere maschio nella Sicilia di un tempo

Alla regia provvede un esperto di lungo corso, Italo Nunziata. Siciliano di nascita, conosce bene certe realtà paesane della terra natale. Così è in grado di elaborare un racconto visivo efficace ed immediato, senza inciampi intellettualoidi, aderente alle didascalie del libretto sebbene condotto con spirito libero. Racconto focalizzato non solo sulla condizione angosciante e dolorosa di Santuzza, ma anche  sull'atteggiamento superficiale, incosciente ed arrogante di Turiddu. Tipico rappresentante del macho siculo abituato a comandare e farsi rispettare, secondo regole arcaiche immutate nei secoli. 

Buona l'idea di un flashback, per aprire e chiudere l'opera: mostrandone durante il Preludio la veglia funebre, e concludendo con il suo corpo insanguinato portato in processione sin sul tavolo dell'osteria di Mamma Lucia. Però la vestizione 'rituale' per la Pasqua c'entra poco, o nulla; ed il sipario chiuso nell'Intermezzo sapeva di stantio.

Valori musicali alterni

Sale sul podio Donato Renzetti. La sua concertazione parte sobria, con calibrate scelte agogiche, e suoni distillati; poi piano piano si  allarga, si gonfia, straborda nell'enfasi. E il sangue, ed il clangore prendono a scorrere a fiotti. Quanto al Coro feniceo, preparato da Alfonso Caiani, non mostra tutta l'omogeneità e la precisione necessarie, forse risente della lunga pausa estiva. Peccato, perché in Cavalleria terrebbe un ruolo di primo piano.

Il tenore Jean-François Borras consegna un Turiddu dalla voce chiara, giovanile, esuberante. Voce molto bella, francamente. Ma non gli riesce ricavarne una figura rovente e sprezzante: non solo perché gliene sfugge la spietata psicologia, ma anche perché la sua caratura vocale lo porterebbe altrove. Diciamo verso Don Josè, Werther, Onegin, Cavaradossi, personaggi affrontati sinora con esiti lusinghieri. 


Quella di Silvia Beltrami è una Santuzza dimessa e dolorante, intimizzata. Ben interpretata scenicamente, sottolineandone la disperata esasperazione; ma vocalmente la sentiamo talvolta in difficoltà, indurita, con una tendenza a forzare le note. Come Dalibor Janis intenda il suo Alfio, è presto detto: rude, truculento, e con minime sfumature. Come la va, la va, insomma; l'importante è esserci, direbbe qualcuno.

Innegabilmente centrata invece Martina Belli, con la sua Lola musicalissima, sensuale e vorace. Messa così la gara, con la povera Santuzza è partita vinta. Anna Malavasi è una credibile Mamma Lucia. Sala affollatissima, come in tutte le recite precedenti, e calda accoglienza del pubblico.
 

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Visto il 03-09-2023
al La Fenice di Venezia (VE)